di Veralisa Massari -
(già pubblicato su Sud in Europa Anno IV n. 3)
L'Albania ha una popolazione di circa 3 milioni di abitanti, stanziati su un territorio di 23 mila km quadrati. Tale territorio dispone di ricchezze tali da avere un reddito procapite che potrebbe eguagliare potenzialmente la Svizzera. Tuttavia attualmente essa vive essenzialmente della spendita di finanziamenti internazionali e il mercato dei consumi è paradossalmente ricco grazie all'enorme quantità di personale estero presente sul territorio.
I prezzi al consumo infatti sono del tutto inadeguati all'effettivo potere d'acquisto dei salari medi. Il salario medio in Albania è di 130 USD mensili e questo è uno dei fattori che maggiormente hanno attratto investitori stranieri negli scorsi anni.
Il progressivo adeguamento della legislazione a standard internazionali, tuttavia ha provocato non poche difficoltà a tutti coloro i quali si sono trovati a vivere la transizione di questo paese, troppo spesso imprigionato nella morsa del contrasto di interessi dei finanziatori internazionali. Da una parte il Fondo Monetario Internazionale, il quale è creditore di ingenti prestiti accordati all'Albania nel corso dell'ultimo decennio e in particolare sotto il governo di Berisha - noto per essere stato un magnifico allievo del Fondo Monetario. Le politiche di tipo liberista imposte dal Fondo Monetario, infatti, hanno impedito l'incentivazione dell'iniziativa privata da parte dei piccoli proprietari e hanno costretto anche l'Albania, come tutti i paesi cosiddetti in transizione, a una repentina inversione verso l'economia di mercato, regime economico al quale il paese era ed è del tutto impreparato. Dall'altra parte vi sono le Istituzioni internazionali e i governi dei paesi donatori, i quali hanno avuto a che fare con vaste tematiche: dalla promozione di una economia di mercato, alla prevenzione/repressione della criminalità, al cosiddetto processo di democratizzazione. Sotto questo aspetto invece il caso albanese è del tutto peculiare rispetto a qualunque altro intervento della comunità internazionale in uno Stato sovrano. Ancora, vi sono gli operatori economici stranieri, le cui esigenze sono per la loro stessa essenza diverse: le valutazioni che essi fanno riguardano ovviamente soltanto il rapporto costi/benefici dell'impiantarsi in aree di questo tipo. Così i fattori ai quali essi prestano attenzione sono il costo del lavoro, le agevolazioni fiscali, ed altri elementi di questo genere, comparati con gli stessi elementi di altri paesi similari. Spesso i termini di paragone dell'Albania sono state la Romania o la Bulgaria, attualmente considerate più competitive della prima secondo i criteri dell'investitore privato. Questo naturalmente non agevola l'emergere di quella che con un termine estremamente politically correct è detta in inglese informal economy: economia sommersa.
Va anche detto che all'adeguamento della legislazione spesso non corrisponde un effettivo miglioramento della prassi amministrativa e delle pratiche delle autorità. In questo ambito si rivela l'importanza e la necessità della formazione del personale, sebbene la trappola della formazione sia estremamente pericolosa, specialmente quando si tratta di utilizzare fondi di provenienza pubblica come avviene nelle missioni di carattere internazionale, perchè sia in qualche modo garantita la formale imparzialità dell'educazione.
Ad ogni modo in Albania non può che rilevarsi l'esistenza di una rapida espansione in diversi settori: costruzioni (edilizia e infrastrutture), agricoltura e pesca, industria agro-alimentare, tessile e manifatturiera, lavorazione del legno, commercio.
In particolare, poi, la presenza italiana sul mercato albanese è davvero rilevante. Le imprese italiane occupano direttamente circa 50.000 dipendenti albanesi, con un indotto di circa 100.000 persone impiegate.
In Albania sono attualmente presenti 630 società italiane contro le 550 all'indomani delle rivolte del '97 e le oltre 700 che c'erano prima dei disordini. Si può dire pertanto che l'investimento italiano in Albania è di nuovo in crescita, dopo essere precipitato in seguito agli eventi che nel 1997 hanno causato il collasso dello Stato nel Paese delle Aquile.
Ormai sono presenti anche grandi società italiane. Emblematico può essere sottolineare che l'Enel ha recentemente vinto l'appalto per la gestione della società elettrica albanese KESH, o che l'Alcatel ha trasferito in Albania 120 miliardi in tecnologie, o ache che la Peroni partecipa alla gara d'appalto per la liquidazione della azienda pubblica produttrice di birra di Tirana.
Nel '99 il volume degli scambi con l'Italia è cresciuto del 10% rispetto al '98. Il valore totale degli scambi con l'Italia è attualmente di 538 milioni di USD (353.6 milioni di import, 184.28 di export). Le esportazioni sono aumentate di circa 80 milioni USD rispetto al 1999. L'Italia, con più del 39% dell'import e il 69% dell'export albanesi, è il maggior partner commerciale dell'Albania.
Di particolare rilievo il settore del manifatturiero, che lavora prevalentemente in regime di perfezionamento attivo, sia nel tessile (75% del settore) sia nel calzaturiero, il settore agroalimentare, e naturalmente quello edilizio.
La forte crescita delle esportazioni è dovuta proprio allo sviluppo del settore delle confezioni.
L'Italia resta primo partner anche per l'importazione di alimentari, bevande e tabacco, mentre più del 60 % delle importazioni che l'Albania effettua dall'Italia è costituito da macchinari e tecnologie per le nuove aziende.
Lo stesso accade nel settore degli strumenti elettrici, ove l'Italia occupa il 56% del mercato globale albanese.
Invece, quanto alla produzione interna, nel Nord del paese rilevante è la produzione ittica, nell'area di Lezha, mentre a Scutari prevale la lavorazione del latte e dei suoi derivati. Notevoli, poi, sono le potenzialità nel settore turistico del meridione, che può competere con la Grecia per le risorse naturali e per alcuni insediamenti di interesse storico e archeologico.
Come è evidente, lo scambio avviene tra tecnologie contro materie prime (alluminio, acciaio, ghisa), carburante, cemento, mezzi di trasporto e articoli per l'industria chimica.
Dal 1° gennaio 2000 è in vigore la Convenzione con l'Italia sulla doppia imposizione, tesa a semplificare i rapporti di lavoro regolamentando le relazioni fiscali tra i cittadini e il paese in cui viene prodotto il reddito. Grazie a tale Convenzione ora esiste l'opzione circa il pagamento delle tasse in uno solo dei due territori.
Dal luglio di quest'anno, inoltre, l'Albania è entrata a far parte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
Il governo albanese, inoltre, sta procedendo alle privatizzazioni. Tutto questo dovrebbe essere sintomo del progressivo ritorno della normalità, della democrazia e della stabilità. L'Albania sarà sempre più un cantiere, ed è per questo che affrontare il problema della criminalità organizzata e dell'illegalità diffusa è diventato indispensabile: infatti i donors hanno posto un deciso aut aut in base al quale saranno tagliati i fondi se non viene affrontata la questione.
Quanto ai finanziamenti dall'Italia, inizialmente erano stati previsti 70 miliardi di LIT per il 2000, invece sono poi stati aumentati. Tuttavia tali finanziamenti saranno erogati man mano che saranno approvati i progetti dal governo albanese. Si intende così evitare che tali fondi restino inutilizzati o vengano mal spesi. Dunque è prevedibile un maggiore potere di indirizzo da parte dei donors.
I finanziamenti riguardano progetti nei settori più vari: ordine pubblico, emergenza elettrica, trasporti pubblici, finanze, sistema della giustizia, cultura. Gli obiettivi prefissati sono il miglioramento dei mezzi tecnici e delle strutture dell'ordine pubblico, invio di nuovi autobus, strumenti per le ferrovie e i porti, infrastrutture per la crescita della capitale, costruzione di stazioni elettriche a Tirana, Scutari, Durazzo, etc… Per tutti i progetti è previsto un tempo relativamente rapido di attuazione.
La Conferenza Adriatica, tenutasi recentemente ad Ancona, è stata un altro passo nel rafforzamento della cooperazione nell'Adriatico e ulteriori segnali di collaborazione reciproca tra l'Albania e l'Italia sono previsti anche nei settori sociali, oltre che economici.
Il totale degli investimenti esteri in Albania ammonta ad oggi a 4,12 miliardi di dollari e l'Italia è, come si è detto, il maggior donatore, in senso relativo. Segue un breve schema dei finanziamenti effettuati dai Paesi esteri in milioni di dollari.
Italia 251 (million USD)
Germania 200
USA 175
Segue la Grecia e poi altri paesi, tra i quali il Kuwait.
Quanto invece ai donatori internazionali, i finanziamenti sono così ripartiti:
European Union 452
World Bank 303
European Investments Bank 100
United Nations 74
European Bank for
Reconstruction and Development 35
Enormi, naturalmente, sono i progetti riguardanti la creazione di infrastrutture. Questo vuol dire che si dovranno elaborare anche delle modalità di gestione di esse, una volta che saranno realizzate.
Due sono i cosiddetti corridoi che dovranno attraversare l'Albania, la quale proprio per questo riveste una importanza strategica senza pari in Europa.
Finanche il Kosovo, nonostante per esso sia stato mobilitato il Patto Atlantico, sotto questo aspetto non è paragonabile all'Albania. Ed anzi il Kosovo è soprattutto un arma in più nelle mani dei governi esteri, i quali possono ora utilizzare l'argomento Kosovo come territorio di passaggio alternativo all'Albania per essere ancor più determinanti nella politica economica albanese. E' probabilmente per questo che l'Albania ha ultimamente un atteggiamento particolarmente filogreco, che si può grossolanamente sintetizzare nella recente ennesima reiterazione da parte dell'Albania della richiesta alla Grecia di abrogare lo stato di guerra che quest'ultima non ha mai cancellato dal 1940.
La Grecia chiaramente ha interessi diretti nell'ambito dei progetti per l'ottavo corridoio: Salonicco è uno dei cardini del corridoio stesso ed ha saputo dimostrare anche di essere in grado di attrarre le sedi decisionali. L'ultima riunione del Patto di Stabilità - ove si è deciso l'ingresso dell'Albania nel Patto stesso - si è tenuta proprio a Salonicco, in giugno. Aggregarsi al carro greco, dunque, per l'Albania significa tirare verso il Sud - e cioè verso di sè - la stragrande maggioranza dei traffici, dei percorsi e quindi dei finanziamenti. Allo stesso tempo, distendere nel più breve tempo possibile i rapporti con il Kosovo può voler dire eliminare un concorrente, fagocitandolo. Sono evidenti i rischi di carattere politico internazionale di tali modalità. Non è chiaro come sarà gestita la questione della Macedonia e se essa manterrà un ruolo di primo piano nella realizzazione di questi progetti, come era sembrato all'inizio. Va segnalato che le gare d'appalto per la ricostruzione in Kosovo sono gestite a Skopje dalle autorità dell'Unione Europea. A maggior ragione si vede come la Grecia abbia un fortissimo interesse a non lasciarsi sfuggire queste evoluzioni.
In Albania, comunque, dovranno passare due corridoi: oltre al noto ottavo corridoio, il corridoio Nord-Sud. Ma il primo è quello che maggiormente interessa il ponte con la Puglia, in quanto attraverserà trasversalmente il sud-est europeo per congiungerlo con l'Asia.
Il principale fattore propulsivo dell'iniziativa è la necessità di attuare un sistema di trasporti veloce ed efficiente. Tale snodo senz'altro sarà realizzato, perchè ingenti quantità di energia aspettano solo che sia spianata la strada per trasportarle. Si tratta inizialmente di petrolio, gas, acqua. Ma le potenzialità di tale sistema di comunicazione sono incalcolabili. Del resto l'interesse manifestato da tutto l'occidente sviluppato per quest'area non può che parlare da sè.
Sul piano operativo, i progetti prevedono che siano approntati due punti di ingresso al Corridoio, nei porti di Durazzo e Valona, che poi si ricongiungano nell'interno su un unico passaggio.
La realizzazione di tali progetti naturalmente implicherà un potenziamento inaudito dei porti in questione, sotto tutti i punti di vista. La capacità di essi sarà almeno quintuplicata, sia quella marina sia quella terrestre, con tutte le conseguenze che naturalmente ne deriveranno e le esigenze di potenziamento, oltre che fisico e logistico, anche dal punto di vista dei servizi indispensabili: custodia, deposito, ordine pubblico, etc. I progetti sono già complessivamente finanziati nella loro stragrande maggioranza. Il problema che attualmente si pone è quello della manutenzione. Gli esperti di Banca Mondiale pensano a una privatizzazione, anche perchè il 40 % dei finanziamenti sono di provenienza privata, contro il 60 % di origine statale.
Un altro dei preziosi beni di cui si può far tesoro nei Balcani è senz'altro l'acqua. Tanto è vero che esiste un progetto, che prevede un costo intorno ai 1600 miliardi di Lire, per la costruzione di un acquedotto sottomarino che congiunga la Puglia all'Albania. Ma quest'idea non è stata ancora finanziata e si trova al momento solo allo stadio di progetto. E invece la rete di distribuzione interna è talmente inefficiente da lasciare senz'acqua la popolazione civile per diverse ore al giorno. Naturalmente, poi, è superfluo sottolineare le potenzialità energetiche di tale risorsa.
Le potenzialità esistenti nel Paese delle Aquile, dunque, sono ancora in gran parte inutilizzate e questo non può che rappresentare un incentivo per tutti coloro i quali abbiano intenzione di effettuare degli investimenti nell'area balcanica. Inoltre le grandi possibilità di finanziamento esistenti, anche nell'ambito della ricostruzione, costituiscono un importante elemento di attrazione per i capitali esteri che possono trovare forti integrazioni agli investimenti programmati almeno da fonti istituzionali non private, dal momento che il sistema creditizio è una delle note dolenti dell'area balcanica e costituisce uno dei maggiori elementi di preoccupazione delle istituzioni internazionali e in particolare europee, insieme alla diffusa illegalità e assenza dello Stato.
Infatti l'integrazione e l'armonizzazione del sistema Balcanico sono state poste come obiettivo intermedio teso alla possibilità che sia valutata la possibilità di Associazione all'UE dei paesi balcanici. Essi infatti dovrebbero aderire all'Unione solo come sistema integrato e non uno Stato alla volta. Naturalmente, una volta tanto, tale direttrice posta dalla Commissione Europea nel documento relativo all'Albania nel novembre '99 è orientata verso la cosiddetta ricostruzione civile: la reintegrazione delle popolazioni di tali paesi. Tale reintegrazione non può, secondo i moderni canoni, che essere fatta gradualmente, promuovendo l'approccio integrato degli attori esterni e l'armonizzazione degli elementi interni: legislazione, prima di tutto, ma in generale tutta l'organizzazione sociale ed economica.
Forse adesso è più chiaro come si sono mosse le forze della politica internazionale nelle vicende balcaniche recenti, se non degli ultimi 10 anni, almeno degli ultimi 4. Cioè a partire dalla scelta di lasciare (o fare in modo?) che la Jugoslavia si frantumasse e di voler individuare per semplicità un solo Grande Responsabile e Carnefice in Milosevic', fino alla decisione di intervenire militarmente in Kosovo. Sarebbe opportuno chiedersi se è utile soffermarsi a stabilire se taluni eventi vengono gestiti legalmente o meno, o se invece non è più importante che almeno gli autentici interessi che orientano le decisioni e le azioni siano resi palesi. D'altra parte va sottolineato che se non ci fosse chi punta il dito contro l'illegalità, nessuno potrebbe chiedersi perchè tale illegalità è tollerata.