Il valore probatorio di una pagina web su supporto cartaceo
La massima giurisprudenziale tratta dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sezione lavoro n. 2912 del 18 febbraio 2004, recita che “la copia di una pagina web su supporto cartaceo ha valore probatorio solo se raccolta con le dovute garanzie. Per la rispondenza all’originale e la riferibilità ad un momento ben individuato - Le informazioni tratte da una rete telematica sono per loro natura volatili e suscettibili di continua trasformazione. Va escluso che costituisca documento utile ai fini probatori una copia di pagina web su supporto cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzia di rispondenza all’originale e di riferibilità a un ben individuato momento (Cassazione Sezione Lavoro n. 2912 del 18 febbraio 2004, Pres. Mattone, Rel. Spanò)”. Il provvedimento va accolto positivamente poiché rappresenta il tentativo di porre una qualche certezza in ordine alle molteplici implicazioni, anche processuali, determinate dalle nuove tecnologie, ossia una materia sulla quale sino a poco tempo fa regnava un deserto normativo e giurisprudenziale che tanto ha animato i giuristi in interpretazioni quasi mai concordi, probabilmente dovute ad una diversa percezione e conoscenza del mondo digitale. La massima sopra riportata, infatti, sancisce il principio secondo il quale una pagina web su supporto cartaceo, laddove soddisfi le caratteristiche della rispondenza all’originale e di riferibilità ad un momento ben individuato, ha valore probatorio. Leggendo la sentenza dalla quale la massima è tratta, la suprema Corte non ha orientato la propria decisione in base al riscontro documentale rappresentato dalla pagina web su supporto cartaceo prodotta in giudizio e ciò spiega il perché nella sentenza non vi siano spunti di analisi ulteriori rispetto a quelli già auto-evidenti presenti nella massima. A riguardo si potrebbe soltanto aggiungere che la Suprema Corte abbia voluto tenere un basso profilo, profittando di altri elementi di causa per orientare la propria decisione e limitandosi ad affermare che comunque, la pagina web prodotta nel caso di specie, al di la della ritualità della produzione stessa, determinava risultanze coerenti con altre indicazioni già fornite in giudizio. In buona sostanza è come se la Corte, onde evitare un’eccessiva esposizione su un argomento tanto delicato, avesse da un lato evidenziato l’irrilevanza della pagina web prodotta per determinare la propria decisione, per poi affermare che la pagina stessa, comunque, avrebbe trovato ulteriori riscontri sulla base delle altre prove prodotte. Questa impostazione, tuttavia, pone un dubbio: da un lato la Corte determina e massimizza le condizioni affinché una pagina web su supporto cartaceo possa costituire una prova in giudizio, dall’altro sembra legare tale valenza a condizioni ulteriori ed esterne al predetto documento, come i riscontri probatori. Dunque, quale delle due? E’ sufficiente che la pagina web su supporto cartaceo abbia determinate caratteristiche oppure debbono sussistere ulteriori riscontri esterni a giustificazione delle risultanze che da tale prova possono essere tratte? Il problema è tutt’altro che accademico poiché si discute dell’autosufficienza o meno della pagina web su supporto cartaceo (sia pure osservando le condizioni della riferibilità e rispondenza) per assumere valore probatorio. Invero, è auspicabile e logico propendere per una soluzione affermativa, visto che il contenuto della massima estrapolata dalla sentenza cita soltanto le condizioni “interne” al documento cartaceo mentre tace sui riscontri ulteriori ed esterni sopra indicati. Peraltro, le condizioni che la massima indica per il verificarsi del suddetto assunto, a ben vedere, non sono molto diverse dalle condizioni richieste ad una qualsiasi prova documentale per così dire “tradizionale”, ossia quella di fornire in modo inequivocabile elementi certi in ordine al contenuto del documento, come pure la riferibilità al suo autore. Peraltro, è l’asserita naturale volatilità delle informazioni tratte da una rete telematica ad aver giustificato la particolare attenzione della Suprema Corte al momento della raccolta delle informazioni stesse al fine di “certificare” la rispondenza e riferibilità all’originale. Scendendo ancora di più nelle implicazioni concrete della scelta giurisprudenziale, è lecito domandarsi quali particolarità debba mostrare il supporto cartaceo per non essere contestato in ordine al riferimento temporale e alla rispondenza con la prodotta pagina web. Ovviamente chi intendesse produrre in giudizio un siffatto documento dovrebbe innanzi tutto domandarsi in che modo controparte ne potrebbe contestare la validità; senza dubbio, laddove il sito web riportasse la data di accesso, anch’essa riprodotta nel supporto cartaceo, ciò costituirebbe un primo elemento per rendere quanto meno più difficoltosa una ipotetica contestazione. Peraltro, non è detto che la pagina web riprodotta sia stata cancellata dal sito ove è stata estratta e ciò ne faciliterebbe la riconducibilità ed incontestabilità delle informazioni ivi tratte, senza contare che vi sono strumenti tecnici, ad uso dei gestori del servizio, che consentono di rilevare quando e chi ha avuto accesso a quel dato sito. Appare lecito domandarsi, pertanto, se il problema della riferibilità sia invero problema di chi produce il documento in giudizio o di chi intende contestarlo. In altre parole, ci si chiede se sia a carico di chi deposita una pagina web su supporto cartaceo, magari correlata della data di estrazione, ha dover fornire maggiori elementi tecnici per fugare ogni dubbio sulla corrispondenza e riferibilità temporale alla pagina web medesima, oppure sia controparte a dover valutare gli accorgimenti per contestare la piena valenza probatoria del suddetto documento allorché la prova prodotta appaia genuina. Sicuramente spetta a chi introduce il giudizio provare le ragioni a fondamento delle proprie richieste, ma è altrettanto vero che la mancata contestazione è di per sé comportamento processualmente indicativo e valutabile in senso positivo per il soggetto producente; pare insomma che si possa supporre e, in un certo senso auspicarsi, per ovvie ragioni di economia processuale, che il Giudice possa accontentarsi del documento prodotto e concedergli piena valenza probatoria in mancanza di esplicita contestazione. Una diversa prospettiva dell’argomento trattato impone una precisazione, quanto mai doverosa, in merito alla possibile confusione della pagina web su supporto cartaceo con il documento informatico, in quanto essi differiscono concettualmente, materialmente e, soprattutto, hanno una valenza probatoria che si fonda su diversi presupposti. Il documento informatico, infatti, è un atto che viene “parificato”, sia sotto il profilo sostanziale che processuale, al documento cartaceo in quanto corredato di specifiche caratteristiche previste dalla legge, senza tuttavia perdere la propria dimensione digitale. Tutto ciò significa che la pagina web su supporto cartaceo è la copia materiale di qualcosa di origine digitale, mentre il documento informatico è qualcosa che è e resta digitale, non ha bisogno di essere posto su supporto cartaceo per vedersi attribuita una valenza probatoria, né ci si pone il problema della riferibilità ad un momento ben individuato e della rispondenza all’originale. Una volta chiariti tali aspetti, la massima sopra riportata, offre anche altri spunti di analisi poiché un’attenta e, forse maliziosa lettura, può rilevare la persistenza di un atteggiamento di sfiducia mal celato nei confronti del mondo web che si evince tra le righe della massima stessa. Infatti, quanti sottoscriverebbero la precisazione fatta dalla Suprema Corte in ordine alla naturale volatilità delle informazioni tratte da una rete telematica? Volendo ipotizzare il risultato di un altrettanto ipotetico sondaggio, vi è da presumere che molti riterrebbero tale precisazione doverosa e addirittura ovvia, ma si potrebbe anche supporre che coloro che meglio conoscono l’ambiente digitale contestino che, in presenza di particolari procedure e di determinate competenze, la volatilità delle informazioni digitali sia più accentuata che non in un ambito, per così dire, tradizionale. Ovviamente la Suprema Corte non ha un compito didattico in senso stretto, ma l’interprete non può esimersi dal sottolineare come il mondo digitale, nella fattispecie il mondo del web, non determini rischi “maggiori”, bensì rischi diversi dal c.d. mondo reale, la cui conoscenza e prevedibilità forse determina addirittura un ambiente di maggior sicurezza, specie se tutelato da una legislazione che ne favorisce lo sviluppo cogliendone le particolarità. Ne è un chiaro esempio la diffusa paura di effettuare pagamenti on line con carta di credito per l’incombente pericolo di vedersi intercettati per via telematica i dati identificativi e vedersi poi addebitare acquisti effettuati da altri. Orbene, nessuno contesta l’esistenza di tali rischi ma pochi sottolineano come la normativa vigente in tema di commercio on line consenta di “addebitare” gli acquisti non effettuati dal titolare della carta di credito integralmente a carico dell’istituto di credito intermediario, senza contare che tali operazioni di pagamento vengono normalmente effettuate tramite procedure tecniche che garantiscono un elevato grado di sicurezza contro l’intercettazione abusiva. Considerato tutto ciò, non è forse più pericoloso portare con sé la carta di credito rischiandone lo smarrimento o la clonazione al momento di un acquisto presso un qualsiasi locale commerciale? In tali evenienze, nessuno opererà alcun rimborso, eppure tale rischio è considerato minore di quello “garantito” dallo strumento telematico, ciò che evidenzia quanto il deficit culturale in ambiente digitale porti a conclusioni e comportamenti addirittura paradossali. Attraverso l’esempio del pagamento on line con carta di credito non si vuole, giova ribadirlo, asserire l’assoluta sicurezza delle transazioni on line, ma soltanto evidenziare come falsi assunti allarmistici se non addirittura terroristici, debbano essere denunciati. Ciò ci consente di ribadire, come anche la “naturale volatilità” delle informazioni presenti in rete asserita dalla Suprema Corte, sia una premessa non contestabile in senso stretto, ma che comunque va valutata con particolare attenzione proprio perché può prestare il fianco ad interpretazioni assolutamente infondate che troppo spesso frenano lo sviluppo della rete a svantaggio degli utenti e della concorrenza.
Cristian Pellegrini
www.consulentelegaleinformatico.it
05/04/2004