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La crescita del regionalismo in ambito Mediterraneo

a cura di: Avv. Danilo Desiderio

studiolex@tin.it

 

Sembra oramai che non vi siano più dubbi sul fatto che nel nuovo assetto delineato a partire dalla riforma Bassanini (l. 59/1997) e dalla legge di riforma costituzionale n°3/2001, la Regione sia diventata nel nostro Paese una collettività territoriale importante.

 

Ma questo non è un fenomeno solo italiano: il decentramento, inteso come delega di responsabilità dal livello centrale al livello locale (non solo quindi alle Regioni, ma anche agli altri livelli di governo inferiori, quali le Province ed i Comuni), è una tendenza irreversibile in atto in tutta Europa, dove un’ampia dismissione di compiti e materie da parte dello Stato centrale si giustifica con l’introduzione, a partire dagli anni ’90, negli ordinamenti dei Paesi membri dell’UE, di un principio tipico del diritto comunitario: quello di sussidiarietà.

 

In base a tale principio, le funzioni di amministrazione pubblica vanno attribuite al livello di governo più vicino al cittadino: per cui se una data funzione, a causa della sua natura o portata, non può essere svolta dall’ente di governo di livello inferiore, dovrà essere attribuita al livello di governo immediatamente sovraordinato.

 

Di conseguenza, ciascun ente territoriale assume una funzione sussidiaria rispetto all’ente inferiore, secondo una scala di attribuzione di funzioni accessorie che partendo dal livello più basso, il Comune, passa attraverso gli enti intermedi, quali la Provincia, la Regione e lo Stato, fino a giungere all’Unione europea, alla quale spetta di gestire quelle funzioni che essendo di portata sovranazionale, richiedono anche di essere gestite ad un livello superiore.

 

L’articolo del Trattato CE che introduce il principio di sussidiarietà è l’art. 5 (ex 3B), il quale afferma che la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e agli obiettivi che le sono assegnati dal trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

 

Tutti gli Stati europei hanno, in conseguenza a questa norma, avviato un processo di modifica del proprio modello di organizzazione politica e territoriale nell’ottica del decentramento e della sussidiarietà. Esaminando le esperienze degli altri Paesi europei notiamo così che in Spagna, ad esempio, dove pure è in corso un processo di sviluppo dell’autonomia regionale, si è giunti ad un assetto di “quasi federalismo” dove alle 50 Province in cui è suddiviso il Paese, si sovrappongono 17 Comunità autonome. Similmente, in Belgio, le tre Regioni che corrispondono alle tre principali comunità linguistiche, hanno prodotto un tipo di federalismo del tutto particolare, dove oltre allo Stato federale sono presenti 3 Regioni e 3 Comunità con 6 parlamenti e 6 governi, ciascuno dei quali con competenze diverse.

 

Perfino in Francia, dove è sempre prevalso, per ragioni storiche, un modello di organizzazione di Stato fortemente centralizzato, la Regione, la quale rappresenta, accanto al Comune e al Dipartimento, un terzo livello di governo locale, sta conquistando a poco a poco una propria identità, merito anche di un’importante riforma, cominciata nel 1981, che ha modificato le relazioni tra Stato e Regioni, trasferendo a queste ultime alcune competenze dal governo centrale e diminuendo i poteri di controllo e coordinamento dei Prefetti. Ma il processo di decentralizzazione in atto in Francia è ancora lontano dai modelli federalisti o autonomisti degli altri Paesi europei, vista la pesantezza del vecchio modello centralista, difficile da smantellare. Non va dimenticato infatti che il modello dell’organizzazione prefettizia, che così larga diffusione ha avuto nel mondo, è nato ad opera di Napoleone, che diede un assetto di tipo quasi militare all’organizzazione amministrativa dello Stato.

 

La figura del Prefetto, infatti, oltre a rappresentare lo Stato e l’unità della nazione sul territorio, costituiva anche una sorta di “agente politico” del potere nazionale che occupava, prima della riforma del 1981, una posizione centrale all’interno del sistema locale, esercitando il controllo sui Comuni e i Dipartimenti e coordinando gli organi esecutivi ed i servizi dello Stato in ambito locale. A seguito delle colonializzazioni, questo modello è stato esportato anche al di fuori dell’Europa, dando vita ad istituzioni del tutto particolari.

 

Volgendo ad esempio, uno sguardo al di là del Mediterraneo, troviamo il “Governatorato”, suddivisione amministrativa simile alla Regione, retta da un Governatore di nomina presidenziale. Questo sistema di divisione amministrativa, presente in alcuni Paesi nordafricani, quali l’Algeria, l’Egitto e la Tunisia (qualcosa di molto simile sono anche le “Wilayas” in Marocco), è imperniata su una figura, quella del Governatore, che corrisponde grosso modo alla figura del Prefetto, in quanto è anch’esso il rappresentante del Governo centrale nell’ambito del Governatorato ed è al vertice dell’amministrazione locale, con piena responsabilità davanti al Governo dell’amministrazione del Governatorato e dell’ordine pubblico.

 

Il Governatore, questa figura dai poteri assai ampi, oltre a svolgere una serie di mansioni legate alla sicurezza, alla supervisione dei servizi e delle agenzie pubbliche, alla cooperazione con gli Istituti di studio e ricerca, ha un ruolo dinamico nel processo di sviluppo economico locale, ma è soggetto ad uno stretto controllo da parte del Governo, dal quale riceve precise direttive, pur potendo ricevere, per delega diretta da parte di determinati Ministeri, l’attribuzione di funzioni e compiti che possono ampliare notevolmente i suoi poteri ordinari.

 

Siamo di fronte quindi anche qui ad un riconoscimento, almeno a livello legislativo, di un meccanismo dinamico di spostamento di poteri dal centro alla periferia, anche se nella pratica ciò avviene in misura assai contenuta, data la tendenza da parte dei Governi di tali Paesi a mantenere accentrati le loro prerogative e poteri. Ciò è particolarmente evidente soprattutto nel sistema egiziano, che ha sempre conservato una struttura tradizionalmente accentrata: non dimentichiamo che in un certo momento della sua storia, esso si è proposto addirittura come centro politico dell’intero mondo musulmano.

 

L’ex presidente egiziano Jamal Abd el-Nasser (1918-1970) infatti, dopo l’abolizione del califfato (1924), tentò di ridare una guida alla comunità islamica spingendo l’Egitto ad affermarsi come nazione-leader dell’unità araba e musulmana. Ma il sogno panarabo non durò a lungo, a causa della sconfitta militare araba nella guerra contro Israele (1967), che inflisse un duro colpo a quel disegno, che altri Stati hanno successivamente riprovato a portare avanti, dalla Libia di Gheddaffi, alla Siria, ed infine all’Iraq di Saddam Hussein.

 

In Tunisia, ciascun Governatorato è ulteriormente articolato in livelli di governo inferiori, quali le Delegazioni ed Consigli locali di sviluppo ed i  Municipi.

 

In Algeria, i 48 governatorati regionali in cui è suddiviso il Paese, sono retti da governatori nominati dal presidente, al quale rispondono direttamente del loro operato, affiancati nella loro gestione amministrativa da assemblee regionali. Nell’ultimo decennio anche qui si è avuta una progressiva deconcentrazione dei poteri dal centro alla periferia, accompagnata dall’arretramento del settore statale da una serie di attività economiche.

 

I 26 Governatorati egiziani (Muhafazat) invece, sono invece distinti in due tipi: i Governatorati urbani (Cairo, Alessandria, Port Said e Suez), divisi a loro volta in distretti urbani (Quism) e questi in quartieri (Shiyakhat) ed i Governatorati misti, che presentano una suddivisione più complessa, essendo divisi in distretti regionali (Merkez), che costituiscono livelli amministrativi inferiori. Entrambi i tipi di Governatorati sono costituiti di aree rurali e urbane, dette rispettivamente Rif e Hadar per i Governatorati, e Qariyat e Madinat per i distretti regionali. Le città (Madinat) sono poi divise in Qism e Shiyakhat.

 

Simili ai Governatorati sono le Wilayas in Marocco, una sorta di super-prefetture che sovrintendono all'Amministrazione di più sotto-prefetture. Al vertice delle Wilayas c’è il Wali (governatore), figura dotata di importanti poteri politici e nominata direttamente dal ministro degli Interni. Ma la suddivisione territoriale del Marocco è ben più articolata: all’interno delle 16 Regioni sono costituite le Prefetture, accorpate nelle Wilayas: La Prefettura a sua volta è divisa in Circoscrizioni, alla cui direzione si trova un Super Caïd o Capo Circoscrizione. Ogni Circoscrizione è infine divisa in Caïdati (amministrati da Caïds) che corrispondono ai comuni urbani o rurali. Esistono poi le Province, che presentano a loro volta un tipo di suddivisione simile alle Prefetture.

 

Perfino in Libia, dove il potere politico è concentrato nelle mani del colonnello Gheddafi e solo formalmente è amministrato dai consigli locali in nome del popolo, è stata di recente avviata una modifica dell’assetto territoriale, tesa a decentrare il potere amministrativo e potenziare il ruolo delle amministrazioni municipali (Shabie), nel numero di 26, in cui è attualmente diviso il suo territorio. A seguito di tale riforma amministrativa, sono stati soppressi ben 12 ministeri, oltre che numerosi Enti statali, e moltissime loro competenze sono state trasferite alle Municipalità.

 

Ritornando in Europa, e precisamente in Francia, la Regione, creazione dello Stato di tradizione colbertista risalente al 1956, comincia solo nei primi anni ’70 a diventare una istituzione pubblica, sia pure dalle competenze limitate, in quanto vi è sempre la figura del Prefetto ad assicurare un controllo del potere statale in tale ambito territoriale. Il motivo di questo ritardo nello sviluppo della Regione come ente dotato di una propria sovranità è dovuto principalmente al fatto che questa non ha in Francia, come da noi in Italia, un’origine, per così dire, “storica”. Se si fa eccezione infatti, per Regioni come la Bretagna e l’Alsazia, la maggior parte delle Regioni francesi sono pure creazioni dello Stato, frutto di un disegno di pianificazione nazionale, volto ad aggregare in un certo ambito territoriale, aree omogenee sotto il profilo economico: è il caso, ad esempio, della regione del Rhône-Alpes o del P.A.C.A. (Province Alpes Cöte d’Azur).

 

Il tema della regionalizzazione dunque, è un tema critico non solo in tutti negli Stati membri dell’Unione, ma anche in ambito Mediterraneo, perché corrisponde ad una richiesta sempre crescente di maggiore autonomia da parte delle collettività territoriali locali.

Ma i modelli di regionalizzazione esistenti in quest’area sono assai diversi, per cui è difficile tracciare delle previsioni sulla loro futura evoluzione. Sulla sponda nord del Mediterraneo, dove il processo di regionalizzazione è in una fase più avanzata, i singoli Stati membri si propongono l’obiettivo di una gestione ed uno sviluppo del territorio più efficace e soprattutto guidato “dal basso”.

 

La ricetta è quella del duplice modello sussidiarietà/decentramento, modello che evidentemente si allontana dalle logiche di sviluppo assistito dall’alto adottate in passato da Paesi come il nostro, dove era lo Stato a pianificare lo sviluppo, in via unilaterale, cioè senza coinvolgere le comunità locali, e che provoca l’emergere di un nuovo concetto di Regione, quale ente chiamato a valorizzare le proprie risorse endogene, cercando di attrarre sul proprio territorio capitali esteri, innescando in questo modo fenomeni competitivi con le altre Regioni ed enti omologhi di altri Paesi, per favorire la concentrazione nel loro ambito territoriale di nuove attività produttive e professionali o quanto meno per evitare che condizioni più attrattive offerte da altre Regioni producano un effetto di delocalizzazione al di fuori del loro territorio.

 

Si programmano così e si portano avanti iniziative nei settori più diversi: dalla internazionalizzazione del loro territorio, alla cooperazione economica e culturale, che vede ad esempio, promuovere gemellaggi e attività di partenariato con amministrazioni e istituzioni di altre regioni del mondo, fino alle aggregazioni di piccole imprese per accompagnarle sui mercati esteri, che consentano loro di superare il limite dimensionale e di acquisire quella massa critica e quella visibilità necessarie a stabilire una presenza qualificata e stabile su tali mercati.

 

Un nuovo concetto di Regione dunque, il cui territorio diviene contenitore di risorse, e che come tale può essere "venduto", ma con la differenza che la “vendita” di un territorio è cosa ben più difficile della vendita di un prodotto o di un servizio, in quanto deve avvenire in maniera più sofisticata: si deve partire da una preventiva analisi delle sue caratteristiche, della sua storia, fino ad arrivare ad effettuare un’assessment (mappatura) delle sue potenzialità, opportunità e punti di forza, per poi poterli comunicare in maniera efficace ai suoi potenziali "clienti", cioè agli investitori, siano essi nazionali od esteri.

 

 

16/04/2004

 

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