Il valore del documento elettronico nell’aula di un Tribunale!
Alcune riflessioni a proposito delle ultime pronunce giurisprudenziali sul valore dell’e-mail.
di Andrea Lisi (*)
Premessa. Le nuove tecnologie informatiche entrano nelle aule di giustizia
Ormai si susseguono in Italia i decreti ingiuntivi basati esclusivamente sulla produzione di semplici e-mail, le quali - secondo una corretta lettura dell'art. 10 II comma del TUDA - possono essere considerate valida "forma scritta", liberamente valutabile dal giudice ai fini probatori. Ultimo in ordine di arrivo il decreto ingiuntivo n. 375 del 07.06.2004 - Dott. L. Acquarone, il quale ha accolto la tesi dottrinale (e ormai giurisprudenziale) secondo la quale la posta elettronica può essere considerata un documento elettronico con firma elettronica "leggera", pur liberamente valutabile dal Giudice ai sensi dell'art. 10 II coma del T.U.D.A. (il testo del decreto ingiuntivo è acquisibile sul sito www.scint.it alla pagina http://www.scint.it/news_new.php?id=466).
Infatti, se già telegrammi, telex, telefax erano entrati prepotentemente nelle aule dei Tribunali, non c’era alcuna ragione plausibile per la quale anche un mezzo di comunicazione così diffuso, come l’e-mail, non bussasse a quelle porte!
E’ ormai indubitabile che il servizio offerto dalla Rete – che, come noto, permette lo scambio in tempo reale e a costi irrisori di documenti, immagini, video e suoni – non assolve più l’esclusivo compito di rendere possibile lo scambio di comunicazioni a carattere friendly, ma viene sempre più utilizzato anche per finalità commerciali.
Non desta alcuno stupore, quindi, che proposte ed accettazioni contrattuali possano correre lungo i bit della rete, che gli incontri di lavoro possano fissarsi per e.mail (ma addirittura anche attraverso un breve messaggio del tipo sms), che - per venire più da vicino alla recente decisione del Tribunale di Mondovì - attraverso una e.mail si possa operare un riconoscimento di debito.
Nel presente saggio si eviterà di soffermarsi compiutamente sulle questioni sorte in ordine alla sicurezza della trasmissione e ai pericoli di violazione della privacy a seguito del diffondersi dell’uso delle e.mail e degli altri servizi offerti da internet: naturalmente tale pericolo esiste allo stesso modo in cui è possibile che sia contraffatta la nostra firma su un documento contrattuale o che quest’ultimo nella sua interezza venga falsificato!
Ciò che non può e non deve rimanere estraneo agli interpreti del diritto è il compito di valutare se, ed entro quali limiti, un fenomeno così largamente diffuso, quale è quello dell’invio di una e.mail, possa essere comunque considerato giuridicamente rilevante e parificabile ad un documento scritto o lasciato invece in un limbo non definibile, privo di giuridica esistenza.
E la giurisprudenza sembra dare ragione all’indirizzo interpretativo di chi è convinto, come lo scrivente, che vada la pena di sforzarsi di recepire anche giuridicamente il cambiamento determinato dalla Società dell’Informazione, dove il nuovo linguaggio si evolve, il "nuovo scritto" è costituito dai bit direttamente connessi al mouse che stringiamo ogni giorno per concludere i nostri affari e non c'è ragione alcuna per sostenere che tutto quello che si visualizza on line non abbia valore giuridico... almeno a giudicare da alcune decisioni di recente adottate dai Giudici civili, sia pur in una fase monitoria!
In particolare, il Tribunale di Cuneo per primo (D.I. 15.12.2003, n. 848) e, successivamente, quello di Bari (D.I. 20.01.2004, n. 89) hanno riconosciuto all’e.mail il valore di documento informatico provvisto di firma elettronica cd. “leggera” che soddisfa, quindi, il requisito della forma scritta!
La normativa sulla firma elettronica “leggera” e la decisione del Tribunale di Mondovì
E’ opportuno offrire al lettore uno sguardo d’insieme sulle norme che possono trovare applicazione nell’ipotesi dell’invio di una e.mail.
Si tratta, in particolare, del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”, come modificato dal Decreto Legislativo 23 gennaio 2002, n. 10 - recante “Attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche” -, dalla Legge 16 gennaio 2003, n. 3 - recante “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione” - e, infine, dal D.P.R. 7 aprile 2003, n.137 recante il “Regolamento recante disposizioni di coordinamento in materia di firme elettroniche a norma dell'articolo 13 del decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10”.
A rilevare è in particolare il 2° comma dell’art. 10 - rubricato “Forma ed efficacia del documento informatico” - del T.U.D.A. summenzionato secondo il quale “Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta. Sul piano probatorio il documento stesso è liberamente valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza. Esso inoltre soddisfa l'obbligo previsto dagli articoli 2214 e seguenti del codice civile e da ogni altra analoga disposizione legislativa o regolamentare”.
Procedendo con ordine, occorre prima di tutto chiarire cosa si intende per documento informatico. Il dato normativo è chiaro sul punto: ai sensi dell’art. 1, primo comma, lett. “b”, del suddetto D.P.R. n. 445/00, il documento informatico altro non è che “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.
E in proposito non può ragionevolmente dubitarsi del fatto che l’e.mail costituisca proprio una rappresentazione informatica di documenti, immagini, video, suoni e di quant’altro possa essere giuridicamente rilevante (come una ricognizione di debito).
A questo punto, occorre verificare se l’e.mail sia un documento informatico provvisto di firma elettronica almeno leggera: ed è questo il vero punctum dolens dell’intera questione.
Tralasciate le complicate partizioni tra le varie tipologie di firme elettroniche e chiarito che la firma elettronica altro non è che “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica” (ex art. 1, comma primo, lett. “cc”, DPR 445 cit.), occorre sottolineare come affinché l’e.mail possa definirsi “sottoscritta” con firma elettronica (cd. “semplice”, o “leggera”) dovrà dimostrarsi che la stessa contenga un insieme di dati in forma elettronica che siano ricollegabili (cioè connessi tramite associazione logica) ad altri dati informatici usati come sistema di “autenticazione informativa” (cioè, di riconoscimento anche indiretto dell’identità del suo autore).
Vediamo su questo specifico punto come si è pronunciato il Tribunale di Mondovì nella decisione in esame.
Il ricorrente (avv. Marco Cuniberti) sostiene, quale punto di partenza, un dato di fatto incontestabile. E cioè che la e.mail contenga un indirizzo di provenienza “il quale indica che essa è stata inviata da un account (cioè un’area riservata, accessibile solo dal titolare) creato presso un Internet Service Provider (cioè il fornitore della casella di posta elettronica)…”, ed ancora che la e.mail contenga “i cd. “headers” (l’intestazione), cioè un elenco di dati, contenenti tutte le precise informazioni relative al percorso effettuato dalla email, dal momento del suo invio, tra cui, soprattutto, presso quale ISP (Internet Service Provider) si trovi l’account (l’area riservata) di posta elettronica, corrispondente all’indirizzo da cui è stata appunto spedita la e.mail”.
In definitiva, la coppia di dati “indirizzo mittente - headers” conferisce certezza – sempre secondo quanto sostenuto nel ricorso - in ordine al fatto che una determinata e.mail (inviata ad una certa ora e da una precisa utenza telefonica cui era collegato il computer mittente) provenga da un’area riservata di un Internet Service Provider alla quale è stato necessario accedere per inviare la stessa mail.
Il passo logico successivo è ora quello di associare questa coppia di dati ad un sistema di autenticazione informatica. Sistema – quest’ultimo – rappresentato, sempre nell’ipotesi dell’invio di una e.mail, dall’inserimento di “username (cioè l’identificativo dell’utente) più password” che l’utente deve digitare per autenticarsi ed accedere ad un’area riservata.
I requisiti previsti dal DPR 445 cit. sembrano dunque essere rispettati: da un lato, l’insieme di dati “indirizzo mittente-headers” dall’altro “username e password”.
E l’e.mail può, quindi, ritenersi un documento informatico provvisto di firma elettronica “leggera” che, in quanto tale, soddisfa il requisito legale della forma scritta (art. 10, comma 2°, T.U.D.A.).
Per riassumere: Il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. La firma elettronica è l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica. L’e.mail è un documento informatico provvisto di firma elettronica, nel quale la coppia di dati “indirizzo mittente - headers” associati logicamente alla coppia di dati “username e password” soddisfa il requisito della forma scritta ex art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 445/2000.
Queste, in sintesi, le conclusioni cui perviene il ricorrente e che, di fatto, vengono ratificate dal Tribunale di Mondovì che le ha ritenute idonee all’emissione del decreto ingiuntivo in esame.
Naturalmente, non sono mancati in dottrina dubbi e perplessità in ordine alla correttezza di tale ricostruzione soprattutto avuto riguardo alla sussistenza di una connessione logica tra dati validanti e dati da validare nell’ipotesi dell’invio di una semplice e.mail con client di posta, quali Outolook Express (L. Giacopuzzi, Il valore probatorio di una mail, consultabile all’indirizzo http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/giacopuzzi12.html). Anche se occorre sottolineare, in proposito, che la normativa attualmente vigente in Italia non prevede per le firme elettroniche semplici (quindi, non digitali o avanzate) né la creazione di una “procedura informatica che garantisca la connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione” (art. 1 comma 1 lettera dd) del T.U.D.A.) né un “sistema di validazione”, ossia quel “sistema informatico e crittografico in grado di generare ed apporre la firma digitale o di verificarne la validità” (art. 22. comma 1 lett. a)).
D’altronde il dibattito è ancora in fieri e la dialettica tra i giuristi sembra destinata, complice anche la novità della materia, a perdurare nel tempo.
Cosa dice il CNIPA
Appare utile, a questo punto, soffermarsi, sia pur brevemente, su di un recente ed interessante documento formale del maggio 2004 adottato dal C.N.I.P.A. - Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione – con il dichiarato “scopo di chiarire cosa sia la firma digitale” e quali siano “le differenze sostanziali fra le varie tipologie di firme elettroniche”: Le Linee Guida per l’utilizzo della Firma Digitale (del maggio 2004 e acquisibili sul sito web ufficiale del CNIPA).
In tale documento, il CNIPA, tra l’altro, sostiene che “la firma elettronica (generica) può essere realizzata con qualsiasi strumento (password, PIN, digitalizzazione della firma autografa, tecniche biometriche, ecc.) in grado di conferire un certo livello di autenticazione a dati elettronici”, ragion per cui si possono correttamente considerare strumenti di autenticazione l’accesso ad un’area riservata di un sito web attraverso la digitazione di “credenziali di autenticazione”, le sottoscrizioni (con o senza l’utilizzo di smart card) nei servizi di e-banking, l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi, e, infine, per quanto più da vicino ci riguarda le stesse e-mail. E se anche può essere tecnicamente condivisibile l’assunto secondo il quale nella fase di invio dell’e-mail tramite client non sempre il protocollo smtp gestisce sistemi di autenticazione informatica, comunque la sottoscrizione in calce alla stessa e-mail, anche eventualmente effettuata attraverso la digitalizzazione di una firma autografa, ben può precostituire un documento informatico con firma elettronica leggera e, quindi, avente “forma scritta”.
In definitiva, l’intervento del C.N.I.P.A. sembra indirizzato nel senso di avallare le ragioni sostenute da parte di quella dottrina che ha accolto favorevolmente le pronunce dei Tribunali di Cuneo e di Bari pur adottate, lo si ripete, in una fase monitoria.
In verità, quelle considerazioni erano state già confermate dalle parole dell'Ing. Giovanni Manca, responsabile funzione certificazione CNIPA: infatti, nel modulo di e-learning sulla firma digitale presente sul sito del CNIPA, (modulo IX del 27.3.2003 - Minuto 8' - il link è http://applicazioni.cnipa.gov.it/formazione-firmadig/cnipa_corsi.html), dopo aver fornito la definizione di firma elettronica cd. leggera, mutuandola dal D.Lgs. 10/2002, l'Ing. Giovanni Manca aggiungeva: (...) “stiamo parlando anche dello user name e della password che ci consentono di accedere al nostro sistema di posta elettronica. Quindi, INVIARE UNA MAIL AD UN DESTINATARIO E' UNA FIRMA ELETTRONICA, ovviamente relativa ai dati contenuti in quel messaggio di posta elettronica...”.
D’altronde anche a livello comunitario è presente un acceso dibattito in merito al valore formale da attribuire alle semplici e-mail e soprattutto in merito all’esatto significato da attribuire alla definizione di “electronic signature”: ciò è confermato dallo stesso corposo studio commissionato dalla Commissione Europea all’Università di Leuven (e presieduto dal Prof. Dumortier) “The Legal and Market Aspects of Electronic Signatures”. Alle pagine 63 e segg. dell’interessante documento sono ben evidenziate le differenti impostazioni legislative dei vari stati europei in merito al recepimento della definizione di “firma elettronica” contenuta nell’art.2.1 della direttiva 1999/93/CE: The Directive defines “electronic signature” as data in electronic form wich are attached to or logically associated with other electronic data and wich serve as a method of authentication. E da questa generica definizione emerge chiaramente in Europa l’esigenza - maggiormente legata alla autoregolamentazione e alle ragioni del mercato - che mira a conferire un minimo di rilevanza formale anche a firme elettroniche leggere e "poco definite" (e la cui rilevanza probatoria viene affidata alla prudente valutazione del giudice).
Solo la sottoscrizione autografa determina oggi il “documento scritto”?
Alla luce delle considerazioni soprariportate ben può sollevarsi l’ultima importante questione inerente alla evidente “crisi della sottoscrizione autografa” rinvenibile nell’ordinamento italiano, europeo e internazionale. Il diffondersi dell’utilizzo delle e.mail – e ancor prima il ricorso a telex, fax e telegrammi – sta comportando la circolazione di tutta una serie di documenti contenenti informazioni e comunicazioni sprovviste di sottoscrizione autografa delle quali, in ogni caso, occorre valutare ed accertare la paternità.
In proposito, la Suprema Corte di Cassazione – in una causa attinente alla validità di un licenziamento – ha avuto modo di affermare che “la finalità di certezza della manifestazione della volontà di licenziare e di ricezione della stessa da parte del destinatario, perseguita dal legislatore attraverso l’imposizione della forma scritta, è soddisfatta ogni qual volta il documento scritto basti alla estrinsecazione formale di detta volontà, ciò che si verifica anche col telegramma, purché il destinatario non ne disconosca la provenienza” (Sez. Lav., 23 ottobre 2000, n. 13959, in Giust. civ. Mass., 2000, 2166). Si ricorda, inoltre, un’altra importante massima della Suprema Corte, secondo la quale al telegramma non sottoscritto quale è quello inviato per telefono può essere riconosciuta l'efficacia probatoria della scrittura privata a norma dell'art. 2705 (Cass. 1990 n. 6788). Infine, si ricordano le varie pronunce giurisprudenziali secondo le quali il telex non disconosciuto acquisterebbe l’efficacia probatoria della scrittura privata riconosciuta (Trib. Ascoli Piceno 7.9.80; Tribunale Taranto 11.5.1981).
Il telegramma, come il telex o il telefax, sono stati quindi ritenuti dalla giurisprudenza anche più risalente come valide prove scritte per l’emissione del decreto ingiuntivo (Corte di Appello di Napoli, 17.02.1989; Corte di appello di Ancona, 5.04.1982; Tribunale di Ascoli, 7.08.1980; per l’ipotesi delle copie fotostatiche, Tribunale di Milano 3.01.1985).
Quanto già affermato in tema di telegramma – per il quale in verità si applica l’art. 2705 c.c. – ma anche per il telefax e per il telex (parificati nei loro effetti al telegramma da consolidata dottrina e giurisprudenza) può ritenersi valido - secondo il condivisibile orientamento espresso da una parte della dottrina e dai decreti ingiuntivi da ultimo emessi dal Tribunale di Cuneo, Bari e Mondovì - anche nell’ipotesi dell’invio di una e.mail.
Secondo la dottrina più recente, infatti, occorre “slegare” i nuovi documenti che si intrecciano negli scambi internazionali dal quel “senso di appartenenza” insito nella sottoscrizione cartacea, e quindi associare il documento, cartaceo o informatico che sia, al suo autore attraverso altri meccanismi, propri dell’innovazione tecnologica: quel senso di appartenenza nuovo si trova oggi nel potere di gestione dello strumento di trasmissione.
Si ricordano in proposito le parole di autorevole dottrina per spiegare meglio questo concetto: “l’elaborazione del valore giuridico del messaggio trasmesso per telex è agli inizi. Il telex memorizza un messaggio, senza identificare il mittente. Il messaggio però identifica l’apparecchio trasmittente. In altre parole: il telex non dice con sicurezza chi ha inviato il messaggio, ma dice chi è l’utente (più esattamente: chi ha titolo per l’uso) e, quindi, chi è responsabile dell’apparecchio trasmittente […]. La dichiarazione per telex individua il soggetto di un potere giuridico cui si accompagna di norma un potere di fatto” (R. Sacco, 1982, dall’opera Trattato di Diritto Privato - diretto da Pietro Rescigno – Vol. II Obbligazioni e Contratti – Torino, p. 242).
Quindi, telegramma, telex, telefax, e-mail sono accumunati dal fatto di poter creare, in maniera, più o meno sicura, un nuovo tipo di appartenenza del documento al soggetto che l’ha redatto; in qualche modo essi individuano il soggetto che aveva un potere di fatto, un controllo sullo strumento di trasmissione.
Si può quindi parlare di forma scritta anche in assenza di sottoscrizione come d’altronde previsto negli stessi Principi Unidroit che, all’art. 1.10 – rubricato “Definitions”, recitano espressamente: “in these Principles “writing” means any mode of communication that preserves a record of the information contained therein and is capable of being reproduced in tangible form”. Nessun cenno dunque alla sottoscrizione! E The Principles Of European Contract Law 2002 espressamente affermano che “written” statements include communications made by telegram, telex, telefax and electronic mail and other means of communication capable of providing a readable record of the statement on both sides; anche in questo caso, la forma “scritta” si intende riferita ai telegrammi, telex, telefax, posta elettronica e ogni altro strumento di comunicazione in grado di produrre un documento suscettibile di lettura dall’una e dall’altra parte!
Inoltre, non si fa alcun cenno alla sottoscrizione, in piena adesione a principi internazionali ormai universalmente riconosciuti negli scambi internazionali tra imprese, nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci (Convenzione delle Nazioni Unite dell’11 aprile 1980), nella quale si includono nella nozione dello “scritto” tutte le comunicazioni, anche quelle a mezzo telegrafo e fax (art. 13 della Convenzione)…ovviamente nell’11 aprile 1980 della posta elettronica c’era poca traccia nei rapporti commerciali, ma i principi sono identici!
L’equiparazione della “forma scritta” al telefax e alla posta elettronica la ritroviamo (inaspettatamente) anche nella recentissima Direttiva CE “relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi” , definitivamente approvata il 29.01.04, laddove negli artt. 1 (definizioni) e 42 (regole applicabili alle comunicazioni) sono contenuti i principi fondamentali della disciplina delle nuove modalità di comunicazione: in tali articoli, si precisa preliminarmente che i termini “scritto” o “per iscritto” designano un insieme di parole o cifre che può essere letto, riprodotto e poi comunicato e che può includere informazioni trasmesse e archiviate con mezzi elettronici, ossia con mezzi che utilizzano apparecchiature elettroniche di elaborazione (compresa la compressione numerica) e di archiviazione dei dati, tramite diffusione, trasmissione e ricezione via filo, via radio, attraverso mezzi ottici o altri mezzi elettromagnetici. A fronte di un siffatto quadro definitorio l’articolo 42 prosegue affermando che “tutte le comunicazioni e tutti gli scambi di informazioni di cui al presente titolo possono avvenire, a scelta dell’amministrazione aggiudicatrice, per posta, mediante fax o per via elettronica”.
Le nuove esigenze e gli orientamenti più flessibili del legislatore italiano ed europeo: uno sguardo alle altre normative in materia di documento scritto e documento informatico
In verità - già prima delle contestate modifiche al DPR 445/2000 apportate con il Decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10 (di attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche) - erano presenti nel nostro ordinamento normative penali che operavano una parificazione tra il documento informatico (quale l’e-mail) e il documento “scritto” (si pensi, ad esempio, ai già citati artt. 491 bis c.p. e 616 c.p.). Inoltre, da un punto di vista “contrattuale” (e, quindi, più vicino ai nostri scopi) nei rapporti di subfornitura (tipici rapporti B2B) una legge ha previsto espressamente questa parificazione (L. 192/1998 -"Disciplina della subfornitura nelle attività produttive" art. 2.1: “Il rapporto di subfornitura si instaura con il contratto, che deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità. Costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica.”). Addirittura il nuovo procedimento penale dinanzi al Giudice di Pace, all'art. 49 del D.Lgs. 274/2000, istitutivo della nuova procedura, prevede che il PM e il GpP si scambino comunicazioni anche con "mezzi telematici"!
Si ricorda in proposito il Regolamento comunitario n. 41/2001 del 22 dicembre 2000 che, all' art. 23, II comma (in materia di clausole attributive della competenza), recita testualmente: "la forma scritta comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole della clausola attributiva di competenza".
Anche nell'ordinamento tedesco, la legge federale (del 24 marzo 2000, entrata in vigore il 1° gennaio 2001) prevede che il patto di proroga del foro debba essere stipulato per iscritto (art. 9 cpv. 2), ammettendo tra le forme scritte telefax e e-mail. Nell’ordinamento francese (legge 230 del 13 marzo 2000) è presente una definizione molto ampia di “prova scritta” che comprende sia il documento elettronico sia quello tradizionale su supporto cartaceo (e molta discrezionalità viene affidata al giudice). In Irlanda si attribuisce generale rilevanza alle informazioni in forma elettronica. In Inghilterra, manca una definizione normativa dei concetti “scritto” o “documento”: è il giudice a dover decidere se i comportamenti delle parti sono sufficienti alla produzione di determinati effetti giuridici e, quindi, la firma e il documento sono concepiti in termini “funzionali” e non formali (arrivando, a volte, a contestare anche la stessa sicurezza insita nella firma digitale).
Per chi voglia approfondire l’argomento da un punto di vista comparatistico c'è sempre l'imponente e già ricordato studio dell'Università di Leuven (acquisibile alla pagina europa.eu.int/information_society/eeurope/2005/all_about/security/electronic_sig_report.pdf), all'interno del quale emerge con chiarezza come vi siano due tendenze in Europa:
- una maggiormente legata alla autoregolamentazione e alle esigenze del mercato e che mira a conferire un minimo di rilevanza formale anche a firme elettroniche leggere e "poco definite" (e la cui rilevanza probatoria viene affidata alla prudente valutazione del giudice)
- l’altra maggiormente legata alla tradizione formale e alle “certezze” del cartaceo e che mira a legare l'evoluzione del documento informatico a strumenti più rigidi, quali la firma digitale.
Questa altalenante tendenza si riflette anche nelle poche pronunce giudiziali in materia: "in un caso (Corte di prima istanza di Atene, decisione 1337/2001) è stato affermato che l'indirizzo di posta elettronica soddisfa le funzioni della sottoscrizione manuale (identificazione univoca del firmatario e nesso tra questi e il suo indirizzo di posta); mentre in un altro (AG Bonn, decisione 25 ottobre 2001) il disconoscimento è stato pieno, avendo il giudice escluso la rilevanza probatoria dell'e-mail, per gli evidenti rischi di sicurezza delle comunicazioni attraverso la posta elettronica, specialmente in un sistema aperto come Internet" (da un interessante articolo di R. Manno, La giurisprudenza europea sull’art. 5.2 della direttiva, pubblicato in data 05.02.04 su Interlex alla pagina http://www.interlex.it/docdigit/r_manno12.htm).
Appare molto interessante rileggere in proposito alcune dichiarazioni contenute in un documento di lavoro sulla modifica dell’articolo 174 del regolamento (presentazione delle petizioni per posta elettronica), elaborato l’11 gennaio 2001 dalla Commissione Affari Costituzionali in seno al Parlamento Europeo (Relatore: Olivier Dupuis): “ [..] Nella sostanza la posizione della Commissione per le petizioni è molto più “aperta” e garantisce a tutti i cittadini l’esercizio del diritto di petizione semplicemente attraverso l’invio di una e-mail (senza escludere le altre opzioni disponibili) o la compilazione del formulario presente nel sito internet del PE, e senza dover ricorrere al complesso meccanismo della firma elettronica avanzata. […] Essa dovrebbe inoltre dare la possibilità ai cittadini di depositare petizioni e firme (e-mail dei petenti con dati richiesti) per via elettronica e in particolare di aderire a petizioni già depositate inviando un semplice e-mail attraverso un software predisposto dal PE che permetta di farlo in modo semplice (ad esempio cliccando un bottone che apra un formulario dove inserire i propri dati di petente). La Commissione per gli affari costituzionali è dell’avviso che qualsiasi firma elettronica (sia essa semplice, come l'e-mail, o avanzata) possa essere riconosciuta come autentica, e che quindi il semplice invio di una petizione per via elettronica sia sufficiente al fine del suo deposito, senza la necessità di un ulteriore invio cartaceo”.
A volte, a rincorrere troppo la tecnica informatica, si rischia di perdere di vista il senso di alcune innovazioni normative e di vincolare giuridicamente la prassi a rigide regolamentazioni tecniche che non tengono conto dei reali problemi del commercio e delle stesse ragioni dell’innovazione…
Conclusioni – La nuova “forma scritta” nella Società dell’Informazione!
Insomma anche a voler interpretare restrittivamente quanto previsto dal TUDA in materia di firme elettroniche leggere, l’e-mail, nel momento in cui contenga una manifestazione di volontà e sia in qualche modo attribuibile la sua paternità ad un soggetto, allo stesso modo del telegramma, del telex, telefax, non può non essere considerata “forma scritta” nell’ordinamento italiano, comunitario, internazionale!
Considerare una e.mail quale documento informatico provvisto di firma elettronica leggera comporta certamente una serie di interessanti conseguenze giuridiche.
Così infatti l’e.mail soddisferebbe: 1) il requisito legale della forma scritta (naturalmente sul piano probatorio sarà liberamente valutabile dal giudice, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza), 2) l’obbligo previsto dagli articoli 2214 e seguenti del codice civile e da ogni altra analoga disposizione legislativa o regolamentare (tenuta di libri obbligatori e altre scritture contabili).
Non solo, all’e.mail in tal modo si applicherebbe anche la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 10 del D.P.R. n. 445/2000 (c.d. T.U.D.A.) secondo cui “al documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, in ogni caso non può essere negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di prova unicamente a causa del fatto che è sottoscritto in forma elettronica ovvero in quanto la firma non è basata su di un certificato qualificato oppure non è basata su di un certificato qualificato rilasciato da un certificatore accreditato o, infine, perché la firma non è stata apposta avvalendosi di un dispositivo per la creazione di una firma sicura”. D’altronde occorre riferire, per concludere, che lo stesso T.U.D.A. al comma 6 dell'art. 43 ha operato un'importante parificazione tra mezzi informatici/telematici e telefax affermando che "i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale”.
(*) Avvocato in Lecce. Esperto di problematiche legate all’ICT & International Trade. Curatore del sito www.scint.it. Titolare dello Studio Associato D.&L. – www.studiodl.it .
Si ringrazia per la stesura del presente saggio l’avv. Maurizio De Giorgi.