Ordine degli Avvocati di Brindisi - 29 maggio 2004
RILEVANZA GIURIDICA DEL DOCUMENTO INFORMATICO
Nuovi sviluppi e nuova giurisprudenza:
il “famigerato” d.i. del Tribunale di Cuneo
di Gianluigi Lazari, Avvocato in Brindisi, membro del Circolo dei Giuristi Telematici
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Si può richiedere la concessione di un decreto ingiuntivo sulla base di una promessa di pagamento contenuta in una e-mail?
Il Tribunale di Cuneo con una recente, molto discussa decisione [1], ha optato per la soluzione positiva.
Per ottenere tale provvedimento, la difesa del ricorrente avrebbe potuto percorrere essenzialmente due strade: incentrare la propria strategia processuale sull’assunto che la mail fosse qualificabile o comunque equiparabile a scrittura privata (sempreché essa contenga una promessa unilaterale) o, in virtù della non tassatività delle ipotesi previste dall’art. 634 c.p.c., sostenere la tesi secondo la quale la e-mail fosse documento avente forma scritta, equivalente a telegramma[2].
L’Avv. Cuniberti ha motivato le richieste del ricorrente ispirandosi alla prima tesi. Ed è forse anche per questo che il d.i. ha sollevato un vespaio di polemiche[3].
Vediamo perché.
Innanzitutto è necessario occuparsi della qualificazione giuridica della cd. “electronic mail”.
L’email, in quanto “rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”, ben può essere ricompresa nella categoria dei “documenti informatici”[4].
Tale categoria è stata oggetto di molteplici e ripetuti interventi del legislatore nazionale e comunitario, che hanno generato una disciplina complessa, non sempre omogenea e spesso contraddittoria. Né con l’approvazione del testo unico in materia di documentazione amministrativa [5] si è riusciti nell’intento di riportare chiarezza, omogeneità, coerenza logica e sistematica sull’argomento.
La normativa in vigore[6] prevede che il documento informatico in genere abbia l'efficacia probatoria prevista per le riproduzioni meccaniche dall'articolo 2712 del codice civile, riguardo ai fatti ed alle cose rappresentate [7].
Una disciplina diversa è prevista nel caso in cui tale documento sia sottoscritto con firma elettronica: in tal caso, infatti, esso, sul piano formale, soddisfa il requisito legale della forma scritta e, sul piano probatorio, è liberamente valutabile dal giudice, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza.
Esistono, pertanto, almeno due categorie di documenti informatici, a cui il legislatore ha ricollegato effetti e valenza differenti e il cui discrimine è rappresentato dalla sottoscrizione con firma elettronica. Si tratta di verificare se la mail sia provvista o meno di firma elettronica e quindi sia da farsi rientrare nella prima categoria (documento informatico semplice) con la disciplina prevista per le riproduzioni meccaniche, o nella seconda categoria (documento informatico, munito di firma elettronica) e abbia, invece, forma scritta, liberamente valutabile dal giudice ex art. 116 c.p.c. in base a circostanze concrete.
In sintesi, risponde alla nozione di “firma elettronica” quel metodo di autenticazione informatica, che funzioni per mezzo di una connessione logica tra dati.
Mentre per la “firma elettronica qualificata” si fornisce una definizione sicuramente più completa e dettagliata, per la “firma elettronica semplice” si è voluto intenzionalmente fissare solo alcuni requisiti minimi necessari. Il D.Lgs. 10/2002 recepisce qui in maniera letterale quanto disposto dalla direttiva 1999/93/CE sulle firme elettroniche. Il legislatore comunitario così incide profondamente nel nostro ordinamento, in precedenza incentrato prevalentemente sulla firma digitale e introduce un’ampia e generica definizione di firma elettronica, prefigurando la possibilità di farvi rientrare una vasta tipologia di sistemi e meccanismi presenti e futuri.
La previsione di un così ampio genus di firma elettronica in cui ricomprendere una serie indefinita di species, risponde non solo all’esigenza di non cristallizzare in una definizione normativa troppo ristretta una realtà tecnologica in continuo divenire, ma anche all’esigenza di graduarne l’utilizzo a seconda delle sottostanti necessità pratiche: nei rapporti tra enti appartenenti alla P.A. e nei rapporti tra P.A. e cittadino, essendo richiesti elevati standard di sicurezza, si privilegerà tendenzialmente l’utilizzo delle firme elettroniche avanzate. Viceversa, nei rapporti tra privati, laddove sono preminenti esigenze di semplicità, informalità e rapidità negli scambi di informazioni e comunicazioni, si opterà per un ricorso più frequente alle firme elettroniche semplici.
Occorre ora capire se nell’invio di una e-mail si faccia ricorso a uno di quei metodi di autenticazione informatica previsti nella definizione di firma elettronica.
A tal fine, è necessario analizzare più approfonditamente il significato dei termini utilizzati nella definizione di firma elettronica, a partire dal concetto di “metodo di autenticazione informatica”.
Il recente D.lgs. 196/2003, all’art. 4, comma 3 lett. c), tenta di darne una definizione come “insieme degli strumenti elettronici e delle procedure per la verifica anche indiretta dell’identità”. Sempre nello stesso decreto, all’allegato B, punto 2, si provvede, poi, a specificare in cosa consista concretamente un’autenticazione informatica, indicando in maniera esplicita il sistema di codice di identificazione (user id) e parola chiave (password).
Le comunicazioni di posta elettronica non sempre richiedono l’apposizione di user id e password; infatti, l’invio per mezzo di un client avviene attraverso il cosiddetto server SMTP, che, almeno per il momento, a differenza del server per la ricezione della mail (server POP), non presuppone l’autenticazione dell’utente.
Tale dato tecnico escluderebbe di per sé ogni tipo di speculazione sulla configurabilità della mail come documento informatico munito di firma elettronica, sennonché non va sottaciuta l’esistenza di altre ipotesi che assumono una rilevanza non trascurabile. Ad esempio la “webmail”, ossia la e-mail spedita direttamente dal sito del web provider: in tal caso per poter accedere alla zona riservata ai servizi di gestione ed invio della posta elettronica è necessaria la previa autenticazione dell’utente.
Esistono poi vari tipi di posta, che funzionano attraverso la verifica dell’identità dell’utente (mediante metodo crittografico, biometrico...); anche questi casi non possono essere ignorati.
Qualora la mail venga utilizzata come mezzo per la conclusione di contratti, a seguito di una fase pre-negoziale, come avviene non maniera non infrequente in materia di e-commerce, si potrebbe dare luogo a un’ipotesi di autenticazione indiretta della identità delle parti. Infatti, nella prassi è diffuso “quotare” una precedente mail, cioè, re-inviare al mittente una mail, citando il contenuto del messaggio originale o parte di esso In un primo momento, con il primo scambio di mail, si produrrà la sola autenticazione del ricevente, che, nei successivi invii di mail, diverrà a sua volta mittente. Con siffatta tecnica, insomma, lo scambio di mail diviene strumento di autenticazione, attraverso il quale si perviene ad un controllo ragionevolmente sicuro dell’identità degli utenti.
Tutti questi casi, o almeno questi, configurando ipotesi di autenticazione informatica dell’utente, lasciano presupporre utilizzo di una firma elettronica semplice.
L’altro elemento necessario affinché possa legittimamente parlarsi di firma elettronica è la connessione logica tra dati
Il discorso diventa ancora più tecnico-informatico. Qui basti considerare che la connessione tra dati deve essere logica e non univoca, come richiesto espressamente solo per la firma elettronica avanzata [22] e che questo requisito sembra essere assolto anche dalle intestazioni . – certo, anche queste facilmente falsificabili - che si generano al momento della spedizione della mail e dai file di log che i providers conservano dei vari accessi e dei singoli invii da parte dei loro utenti
Una volta qualificati alcuni tipi di e-mail come documento informatico munito di firma elettronica, dobbiamo occuparci della loro valenza giuridica.
Il D.lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, all’art. 6, comma 2, statuisce: “Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta. Sul piano probatorio il documento stesso è liberamente valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza”.
Qui il legislatore si esprime chiaramente differenziando il piano formale dal piano probatorio.
Sul piano formale, rilevante in particolar modo nella fase monitoria del procedimento per decreto ingiuntivo, la mail soddisfa il requisito della forma scritta. La disposizione non la equipara formalmente alla scrittura privata; appare più corretto, quindi, accostarla ad un telegramma o ad un fax.
Dal punto di vista probatorio, il legislatore attribuisce al giudice il dovere di valutare, di volta in volta ed in base a circostanze concrete, il documento prodotto dalle parti.
Tale soluzione appare ampiamente condivisibile e comprensibile vista la genericità e l’ampiezza della formula utilizzata per definire la firma elettronica, nel cui genus sono ricomprese species che non assicurano la sicurezza e integrità della tele-comunicazione. A differenza di quanto avviene per la firma digitale, sarà necessario, quindi, procedere alla verifica caso per caso di tali elementi.
Al documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, in ogni caso non può essere negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di prova unicamente a causa del fatto che è sottoscritto in forma elettronica ovvero in quanto la firma non è basata su di un certificato qualificato oppure non è basata su di un certificato qualificato rilasciato da un certificatore accreditato o, infine, perché la firma non è stata apposta avvalendosi di un dispositivo per la creazione di una firma sicura
Il documento informatico, munito di firma elettronica, non costituisce, quindi, scrittura privata, come in un primo momento sostenuto dall’Avv. Cuniberti nell’ormai celeberrimo ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi al Tribunale di Cuneo. Non si può negare, però, che la legge riconduca a tale documento degli effetti giuridici sia dal punto di vista formale (forma scritta) che dal punto di vista probatorio (prova liberamente valutabile dal giudice).
La normativa e la giurisprudenza confermano la tendenziale equiparazione della e-mail al telegramma o al fax. L’art. 43, comma 6 del d.P.R. 445/2000, così recita: “I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale”. Altre leggi hanno seguito questa tesi.
I principi di diritto internazionale privato hanno recepito questa impostazione, già presente nella prassi commerciale.
Molti detrattori della tesi affermata in giudizio dall’Avv. Cuniberti hanno confuso il piano probatorio con quello formale, sostenendo la impossibilità di fondare un provvedimento di ingiunzione sulla base di un documento scarsamente affidabile.
Non si deve però negare alla cosiddetta realtà virtuale ciò che non si nega alla cosiddetta realtà fenomenica: anche in quest’ultima, infatti, esistono documenti scritti, che seppur falsi, non cessano per questo di essere considerati documenti scritti! E d’altronde oggi, visto il livello medio di conoscenza delle nozioni informatiche, probabilmente è ancora da considerarsi più facile falsificare uno scritto che una mail...
E’ da smentire poi un’altra critica mossa a questa teoria, secondo la quale non si può definire "firma" un qualcosa che non ha un nessun nesso univoco con la persona fisica. Bisogna ricordare - ancora una volta - che la stessa legge non richiede una connessione univoca, anzi richiede espressamente una connessione logica, e non con la persona, ma i tra i dati. Insomma, si tratta di un equivoco che nasce dal concetto classico di firma che finora collegava un documento ad una persona attraverso l’apposizione grafica ed autografa del nome e cognome. Ora invece il concetto di “firma elettronica” viene utilizzato per conferire ad un documento informatico il requisito e la valenza legale della forma scritta.
Infine la teoria dell’e-mail come documento munito di firma elettronica, va valutata oltre che in base alla sua coerenza normativa e logico-sistematica, anche alla luce delle conseguenze pratiche a cui conduce.
Bisogna innanzitutto smentire chi ha paventato conseguenze abnormi per il nostro ordinamento giuridico: si è detto che a seguito dell’affermazione di questa teoria, si arriverebbe a considerare documento scritto anche un sms, con la conseguente possibilità di acquistare la proprietà di un bene immobile con uno strumento che non consente la ponderazione necessaria ed adeguata all’importanza dell’atto. In realtà, però, l’art. 1350 c.c. richiede, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico o scrittura privata, che una mail semplice non soddisfa.
Un’analisi non azzardata delle conseguenze non può non partire dall’assunto che per alcuni documenti la legge prescrive non solo la forma scritta, ma anche la sottoscrizione autografa - o ad essa equiparabile – da parte dell’autore dell’atto.
In primo luogo, ovviamente, menzioniamo la fattispecie che ci ha occupato finora: la producibilità delle e-mail in un procedimento per decreto ingiuntivo.
Oltre a quanto detto finora, vi è da aggiungere che in giudizio, sarà onere del ricorrente indicare al giudice che le e-mail prodotte in giudizio a sostegno del proprio credito rientrino in una delle ipotesi di documenti provvisti di firma elettronica; invece, sarà onere dell’opponente, nella eventuale fase di opposizione, disconoscere o comunque contestare l’autenticità, la qualità o l’esistenza stessa del documento prodotto da controparte o l’apposizione in esso della firma elettronica, in modo analogo in cui si procede nella fase di verificazione della sottoscrizione di un documento cartaceo.
Un’altra fattispecie rilevante può essere la transazione. Essa, infatti, ex art. 1967 c.c. deve essere provata per iscritto. “La scrittura, però, non esige formule sacramentali e può anche non rivestire la formula completa del contratto [...]., in quanto l’esigenza probatoria posta dall’art. 1967 c.c tende ad escludere soltanto che della transazione possa darsi la prova per mezzo di testimoni o di presunzioni, mentre la prova dell’intervenuto accordo transattivo può trarsi da scritti che ad esso facciano riferimento [...]” (Cass. 28.5.1980 n.3498). E’ sempre la Cassazione a ribadire che la transazione possa constare anche dallo scambio di corrispondenza tra le parti contraenti (Cass. 6.3.1971 n.609).
La mail potrebbe assumere una certa rilevanza in materia di licenziamento per giustificato motivo del lavoratore dipendente. La Suprema Corte in una causa attinente alla validità di un licenziamento ha avuto modo di affermare che “la finalità di certezza della manifestazione della volontà di licenziare e di ricezione della stessa da parte del destinatario, perseguita dal legislatore attraverso l’imposizione della forma scritta, è soddisfatta ogni qual volta il documento scritto basti alla estrinsecazione formale di detta volontà, ciò che si verifica anche col telegramma, purché il destinatario non ne disconosca la provenienza” (Cass. Sez. Lav., 23.10.2000, n. 13959, in Giust. civ. Mass., 2000, 2166).
Per quanto concerne le condizioni generali di contratto, l’art. 1341, comma 2, c.c. prescrive che non abbiano effetto alcuni tipi di condizione qualora non siano specificatamente approvati per iscritto. Finora nei contratti on line non si poteva che ricorrere alla firma digitale, di certo strumento non largamente diffuso e quindi scarsamente utilizzato ai fini dell’approvazione di tali condizioni; adesso si potrebbe ricorrere alle e-mail
Infine, si segnalano i nuovi sviluppi: il Consiglio dei Ministri nella seduta del 25.3.2004 ha approvato in via preliminare uno schema di decreto presidenziale per la disciplina delle modalità di utilizzo della p.e.c., posta elettronica certificata, riguardante non solo i rapporti con la P.A., ma anche quelli tra privati. Sfruttando i medesimi protocolli della e-mail ordinaria (SMTP e POP3), si intende certificare, attraverso un soggetto terzo, gestore del servizio di p.e.c., i due momenti fondamentali nella trasmissione di documenti informatici: l’invio e la ricezione (ricevuta di accettazione e ricevuta di avvenuta consegna). Rispetto alla mail ordinaria, la p.e.c. avrebbe solo una maggiore forza probatoria, conservando e confermando il valore di forma scritta della mail. Si avrebbero, insomma, due tipi di mail, corrispondenti a due tipi comunemente conosciuti di posta: la mail semplice corrisponderebbe alla posta ordinaria e la mail certificata (p.e.c.), invece, alla raccomandata.
In conclusione, non si può non ritenere estremamente positivo il decreto ingiuntivo del Tribunale di Cuneo, in quanto ha avuto l’indubbio merito di attirare l’attenzione della dottrina più accorta su alcuni aspetti delle firme elettroniche che erano rimasti per troppo tempo nell’ombra e di cercare di dare regolamentazione giuridica a tutta una serie di atti, che, nonostante la vasta diffusione nella prassi, ne erano rimasti incredibilmente privi.
Dal punto di vista teorico, appare legittimo fondare un ricorso per decreto ingiuntivo sulla base di una o più e-mail, non perché queste costituiscano promessa unilaterale in forma di scrittura privata, ma in quanto documenti aventi valenza legale di forma scritta, equiparabili ex art. 634 al telegramma. Spetterà alla successiva ed eventuale fase di opposizione accertare l’esistenza della firma elettronica e la valenza e forza probatoria (paternità, autenticità, modificabilità...) dei documenti prodotti.
In termine tecnico le intestazioni sono chiamate headers. Il ricorrente, nel produrre in giudizio la mail, avrà cura di salvare il file della mail comprensivo anche dei relativi headers che la individuano e la contraddistinguono (indirizzo IP, from, to, received, subject, ISP di provenienza, momento di invio...). In tal modo si supera anche un’altra insidiosa obiezione alla teoria della parificazione della mail alla forma scritta, secondo la quale con l’invio della mail si autenticherebbero non i dati da inviare (data authentication), ma solo il mittente (entity authentication). Per un approfondimento su questa critica, si rinvia all’articolo “La “firma elettronica” non basta per identificare l’autore” di Roberto Manno.