Tecniche di redazione del contratto internazionale nei grandi sistemi giuridici mondiali
a cura dell'avv. Danilo Desiderio
Una delle prime considerazioni da fare quando si procede alla stipula di un contratto internazionale è quella della definizione del quadro giuridico in cui nasce e si svilupperà il rapporto commerciale con il partner straniero. L’appartenenza di questo ad uno Stato diverso, avente leggi e regole diverse da quelle vigenti nel proprio territorio, comporterà l’esigenza di adottare degli accorgimenti specifici nella redazione del contratto.
Vale la pena di ricordare che in ogni Paese esiste un approccio differente in materia di contrattualistica. Gli ordinamenti di common law, basati sul principio giurisprudenziale dello “stare decisis” (dal latino “stare a ciò che è stato deciso”, ndr ‘…da altri giudici’), vale a dire sulla vincolatività dei precedenti giudiziari, sono caratterizzati tradizionalmente dall’assenza di codici scritti. La common law è infatti un sistema di leggi fatte dai giudici e sviluppatosi in maniera continua nel corso degli anni attraverso le decisioni di questi sui casi portati davanti ad essi.
Due sono le fonti principali della common law: la legislazione emanata dal Parlamento (cd. “Statutes” o “Acts”, che in alcuni casi, soprattutto negli Stati Uniti, recano il nome del loro proponente ) e la casistica giudiziale (“case law”), sviluppatasi in contrasto con la legge prodotta dal Parlamento .
Nai Paesi di civil law la maggior parte del diritto è codificato: di conseguenza le decisioni dei giudici si fondano principalmente su leggi scritte, che richiedono comunque di essere interpretate al momento in cui devono essere applicate.
Nei Paesi ad ordinamento islamico, rimasti estranei al processo di secolarizzazione che ha caratterizzato i Paesi occidentali, lo sviluppo dei sistemi giuridici è avvenuto all'interno di principi e regole non modificabili ad opera dell'uomo perchè fissati da Dio. Di conseguenza il diritto ha assunto un ruolo subordinato rispetto alla religione.
Ma all’interno del mondo musulmano la situazione è tutt’altro che omogenea: è sbagliato infatti credere che il diritto musulmano sia un corpus juris coerente, uniforme per tutti i musulmani. Ad un gruppo di Paesi che hanno subito in maniera più massiccia l’influenza del diritto occidentale, recependo elementi propri della legislazione soprattutto di civil law, si contrappongono Stati che hanno subito in maniera minore l’influenza del pensiero occidentale, come i Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Yemen, Bahrein, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti) e l’Afghanistan, i quali ciascuno con diversa intensità, hanno saldamente fondato i propri ordinamenti sulla base delle prescrizioni sciariatiche. Possiamo infine individuare un terzo gruppo di Paesi in cui il diritto musulmano si è commisto ad altri diritti preesistenti, soprattutto di tipo consuetudinario, dando vita ad ordinamenti giuridici caratterizzati dalla presenza di tanti sottosistemi giuridici indipendenti e separati dagli altri in una sorta di compartimenti stagno e ciascuno regolante uno specifico complesso di rapporti giuridici. E’ venuta così a determinarsi una situazione di pluralismo giuridico, in cui il diritto musulmano regola solo alcuni rapporti, ad esempio quelli familiari ed i diritti della persona (e talvolta anche il regime fondiario), mentre gli altri sono assoggettati a fonti diverse. E’ il caso questo di molti paesi africani, come ad esempio la Mauritania, dove accanto al diritto islamico coesistono altri tre sistemi giuridici: il diritto consuetudinario africano, il diritto arabo-beduino e consuetudinario berbero e il diritto civile moderno .
Nei Paesi di diritto islamico, la presenza di una serie di proibizioni, quali il divieto dei tassi d'interesse fissi e predeterminati (riba), delle prestazioni aleatorie (gharar), e dell’azzardo (maisir), impedisce di avvalersi di alcune fra le clausole più in uso in Occidente, per cui i contratti, perchè possano ritenersi validi, non devono prevedere la vendita della proprietà prima che questa sia venuta ad esistenza o più in generale non si può vendere la cosa di cui non si ha il possesso, pur essendone i legittimi proprietari. Inoltre i divieti suddetti impongono di fare attenzione alle vendite a credito, che pur essendo generalmente ammesse (con la possibilità da parte del venditore di applicare addirittura un margine per la dilazione del pagamento concessa), vanno effettuate tenendo presente che nei Paesi di Islamic law sono vietati quei contratti di vendita di merce il cui prezzo viene espressamente definito, pur essendo l’ammontare della stessa non determinato contrattualmente.
Sempre nei Paesi musulmani va poi tenuto costantemente in considerazione il fatto che, benché l'Islam non ostacoli assolutamente l'iniziativa personale né condanni la proprietà individuale, non sono tollerati qualsiasi forma di egoismo e la grettezza capitalistica . In tali ordinamenti vige infatti il principio "nessun danno e nessuna inflizione" (la darar wa la dirar), principio che afferma che nessuno dovrebbe essere danneggiato od essere causa di danno ad altri, il quale determina l’invalidità di tutte quelle pattuizioni e disposizioni che comportano una perdita, un danno od un pregiudizio ad una delle parti in causa, a prescindere del fatto che l’altra parte ne tragga vantaggio.
Tutto ciò premesso, risulta evidente come l’assoggettamento del contratto ad un ordinamento giuridico piuttosto che un altro incida sensibilmente sui suoi contenuti, non solo per quanto riguarda tutti quei punti che non sono stati regolati dalle parti, in quanto tutto ciò che non è previsto dal contratto troverà regolamentazione nella legge (ed il contratto evidentemente verrà integrato da una differente normativa, a seconda della legge che ad esso si applica), ma anche con riguardo a quegli aspetti espressamente disciplinati che vadano a scontrarsi con norme di carattere imperativo, che come tali si imporranno sulle pattuizioni delle parti.
Inoltre, delle differenze sostanziali investiranno sia la formazione che le tecniche di redazione del contratto internazionale, nonché la scelta del giudice competente, a seconda che il rapporto venga inquadrato in un ordinamento di civil law, common law, o di diritto islamico. Per quanto debba ammettersi che è oggettivamente impossibile per un operatore od un giurista, tanto più straniero (per quanto diligentemente documentato), avere una conoscenza esaustiva delle normative in essere nel paese in cui il contratto egli sta negoziando, esistono tuttavia degli accorgimenti che possono consentirgli di risolvere di buona parte dei problemi sopra descritti e di prevenire dubbi e contrasti tra le parti. Una prima soluzione è quella di redigere il contratto sempre in maniera particolarmente dettagliata e puntuale (pur senza sacrificarne la chiarezza), in modo da ridurre al minimo la possibilità di integrazione dei suoi contenuti ad opera della legge. L’inserimento di clausole poco chiare, di termini con significati ambivalenti, o di definizioni che non trovano riscontro nel diritto concreto applicabile al contratto , contribuirà a generare una situazione di incertezza riguardo l’interpretazione dello stesso che nuocerà ai rapporti tra le parti.
Buona prassi è ad esempio, quella di aprire il contratto con una premessa nella quale vengono inserite una serie di "clausole definitorie" che esplicitano il significato di ogni termine che compare nel testo del contratto e definiscono chiaramente quali sono gli interessi delle parti e lo scopo che si intende realizzare attraverso il contratto. I termini impiegati in questa sezione dovranno essere particolarmente semplici, chiari e di uso corrente e comunque, al fine di evitare qualunque malinteso sul loro significato, è opportuno inserire uno specifico articolo con funzione esplicativa della terminologia utilizzata.
Negli USA è ricorrente l’inserimento nei contratti di un trafiletto in cui le parti specificano che ciascuna di esse ha contribuito in egual misura alla redazione del testo dell’accordo, e che entrambe hanno eguali possibilità di rivederne il contenuto. Questo particolare accorgimento evita che la parte contrattualmente più forte (che è anche quella che di norma predispone la bozza contrattuale), possa sfruttare la propria posizione a svantaggio della parte più debole.
Una regola di comune buon senso impone agli operatori di adottare sempre la forma scritta, che di certo è la forma più adatta a garantire il rispetto dell’accordo e della volontà delle controparti. Dare certezza ai negozi giuridici posti in essere dai contraenti è una finalità perseguita da tutti i sistemi giuridici, siano essi di civil law, common law, di islamic law, in quanto dalla certezza dipende la sicurezza e la trasparenza dei traffici.
La regola della forma scritta del contratto internazionale potrebbe sembrare ovvia nei Paesi di common law, non lo è affatto in molti Paesi di civil law, dove ad esempio, per talune tipologie di contratti non viene richiesta la forma scritta, per cui anche una pattuizione conclusa in forma verbale può perfezionare la conclusione del contratto. I giuristi dei Paesi di civil law sono inoltre abituati a redigere dei contratti molto sintetici, in quanto i rispettivi ordinamenti prevedono di solito norme di legge integrative e suppletive che ne completano i contenuti e che li scoraggiano dal redigere pattuizioni troppo articolate. Viceversa, nei Paesi di common law, l'assenza di codificazioni simili a quelle presenti nei Paesi di civil law, ha favorito lo svilupparsi della tendenza alla redazione di contratti completi e "autosufficienti", ricchi di clausole precise e puntigliose, in cui vengono elencate una lunga serie di definizioni, principi e procedure, che nei Paesi di diritto positivo potrebbe sembrare superflue.
In una negoziazione internazionale tra parti appartenenti ai sistemi in questione, il non tener conto degli aspetti sopra evidenziati potrà generare malintesi.
Per evitare equivoci, sarà poi opportuno strutturare il contratto in maniera tale da renderlo quanto più autosufficiente possibile, similmente a quanto avviene nei Paesi di common law, poiché in caso di controversia, quanto più preciso e particolareggiato è il testo dell’accordo, tanto minore sarà il rischio che venga applicato dal giudice in modo difforme da quelle che erano le intenzioni e le aspettative delle parti. In tal caso infatti il giudice avrà maggiori possibilità di ricostruire l’effettiva volontà delle parti e quindi il senso delle pattuizioni inserite nel testo contrattuale.
La stessa attenzione andrà riposta all’architettura generale del contratto, il quale dovrà avere una sua coerenza complessiva, in quanto le clausole di tipo particolare o speciale, come ad esempio quelle contenenti eccezioni o deroghe a regole base del contratto, nel dubbio potranno ricevere una interpretazione “forzata” ad opera del giudice, il quale potrà ricercare a tutti i costi una coerenza delle stesse con quello che è l’obiettivo generale del contratto, arrivandole a interpretare in modo diverso da quanto si erano proposte le parti (ciò è una caratteristica ad esempio della giustizia americana, nota come “principio di coerenza del contratto”). A tal fine, una buona soluzione è quella di portare fuori dal contratto (magari inserendole in un contratto collegato), quelle pattuizioni particolari che costituiscono eccezioni ad una o più regole di base del contratto.
Un altro aspetto contrattualistico estremamente importante è rappresentato dalle modalità di conclusione del contratto fra persone a distanza.
Nell’ordinamento italiano, così come in molti Paesi di civil law, il contratto si considera concluso quando colui che ha fatto la proposta viene a conoscenza dell’accettazione della controparte (principio di cognizione), ma esistono Paesi (es. Germania), in cui il contratto si considera concluso nel momento in cui l’accettazione perviene all’indirizzo del proponente (principio di ricezione).
Nei Paesi anglosassoni, come ad es. nel Regno Unito, vige al contrario la cd. “mail box rule”: il contratto cioè, si considera concluso nel luogo e nel momento in cui l’accettazione viene consegnata al servizio postale ed indipendentemente dal fatto che questa giunga effettivamente all’indirizzo della controparte. Va tenuto pure conto del fatto che in molti ordinamenti (come in quelli anglosassoni, ed in particolare negli Stati Uniti), il giudice tiene in estrema considerazione gli usi e le consuetudini tipiche di un determinato settore economico, a livello sia generale che locale, così come le prassi commerciali affermatesi precedentemente nei rapporti d’affari tra le parti. Non va sottovalutata la tendenza di questi giudici ad attribuire a tali prassi l’efficacia di modificare alcune clausole dei contratti in vigore tra le parti. Anche questo è un fatto di cui va tenuto conto nel momento in cui dovrà essere redatto il contratto.
Altro aspetto fondamentale riguarda la fase prenegoziale, ossia delle trattative che precedono la conclusione del contratto: non tutti gli ordinamenti tutelano questa fase, come fa il nostro, agli artt. 1337 e 1338 c.c. Sempre negli ordinamenti anglosassoni, si tende a riconoscere un’ampia libertà alle parti nelle fasi delle trattative. Gli operatori più attenti quindi dovranno tutelarsi contro l’eventuale malafede o scorrettezza della controparte tramite accordi di riservatezza e segretezza, lettere di impegno o con accordi che elenchino con precisione i doveri cui ci si deve attenere durante la fase prenegoziale, per impedire che le parti approfittino di tale fase per carpire, appropriarsi e divulgare informazioni che possano in qualche modo nuocere o provocare un danno alla controparte.
Infine andranno prese in considerazione anche le caratteristiche del sistema processuale dei Paesi cui appartengono le parti del contratto: in molti ordinamenti, esistono dei procedimenti a carattere sommario i quali consentono di ottenere in tempi brevi una pronuncia giudiziale, evitando l’attesa dei lunghi tempi del procedimento ordinario, con conseguente beneficio in termini di sollecita definizione delle controversie. Il sistema italiano ad esempio, grazie alla modifica introdotta dal d.Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, all’art. 633 c.p.c., offre oggi al creditore la possibilità di avvalersi del procedimento per ingiunzione anche nei confronti di debitori stranieri, possibilità che in passato gli era preclusa.
Anche tale elemento andrà considerato, sottolineando che non sempre vale la pena, per l’operatore italiano, di insistere affinché al contratto si applichi la legge del suo Paese: tale soluzione, infatti, se da un lato rappresenta per lui la scelta più comoda (perché gli offre l’indubbio vantaggio di avere a che fare con una legislazione che conosce), dall’altro non sempre costituisce la scelta migliore, in quanto spesso la legislazione della controparte è più permissiva, per cui potrebbe valere la pena di accettare che si applichi quest’ultima .
A titolo di completezza, occorre accennare infine al cd. “rischio linguistico”, che pure è assai frequente in materia di contratti internazionali. Questa rischio si determina ogni qualvolta una delle parti non ha una conoscenza sufficiente della lingua utilizzata nelle negoziazioni o della lingua nella quale il documento contrattuale viene redatto. In pratica si tratta di quei casi in cui una delle parti si avvale delle condizioni generali di contratto redatte in una lingua che l’altra parte non comprende perfettamente.
La lingua utilizzata dalle parti spesso è un fattore indicativo per determinare la normativa applicabile al contratto.
A titolo di esempio si può citare il caso di una negoziazione, avvenuta nell’ambito della alla Fiera di Hannover (in Germania), tra un commerciante portoghese che ordinò delle merci ad un commerciante tedesco. Durante le negoziazioni, condotte in lingua inglese, la parte portoghese firmò un documento contrattuale (in inglese), che rinviava alle condizioni generali della parte tedesca, redatte in tedesco e contenenti una clausola attributiva di giurisdizione in favore della parte tedesca. La Corte d’appello di Stuttgard, investita ai sensi di tale clausola del compito di definire la controversia, si dichiarò incompetente in quanto la clausola di deroga del foro non poteva ritenersi inclusa nel contratto, essendo redatta in una lingua (il tedesco), diversa da quella che regolava il contratto (l’inglese) .