Lex Mercatoria e Contratti Internazionali.
Del Dott. Graziano Garrisi (Studio Associato D&L - www.studiodl.it)
Potremmo definire la “Lex Mercatoria” quell’insieme di norme in materia di diritto commerciale internazionale, di formazione spontanea e non scritte, prodotte dalla prassi commerciale, che vengono considerate come fonte normativa autorevole dei rapporti e dei negozi fra privati. Quindi un sistema di norme extranazionali, create dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati e formato da regole che disciplinano in modo uniforme i rapporti negoziali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati; essendo un autonomo sistema giuridico sopranazionale, viene direttamente richiamata dalle parti nei contratti del commercio internazionale in luogo delle disposizioni dei diritti nazionali. La Lex Mercatoria, in pratica, si applicherebbe ai contratti tra privati, purché abbiano il carattere della transnazionalità (cioè non ricadano interamente nella sfera normativa di uno Stato determinato), nonché a quei contratti tra privato e Stati esteri, relativamente ai quali questi ultimi si pongono in posizione paritaria con i primi, rinunciando a sottoporre il rapporto al proprio diritto pubblico interno.
Il trasferimento di poteri dagli Stati ai mercati è il cuore della trasformazione nei rapporti tra istituzioni politiche e poteri economici; per disciplinare e dare sicurezza alle transazioni del mercato, lo Stato moderno perde la sua centralità a favore di un diritto che si va sempre più definendo come transnazionale; è la Lex Mercatoria, come agli albori medioevali a dominare. Il richiamo alla Lex Mercatoria, fiorita nel basso medioevo, sta a sottolineare la trasvalutazione di vecchi ordinamenti che vengono riadattati dalla permanente capacità innovativa del diritto; si vuole alludere alla rinascita, in epoca moderna, di un diritto altrettanto universale quanto fu universale il diritto dei mercanti dell’epoca preindustriale.
Nel medioevo il diritto proprio dei mercanti era un diritto distinto, speciale, diverso dal diritto civile; anche se la sua specialità era proprio di essere applicabile universalmente per garantire la sicurezza e la certezza dei contratti. Oggi la nuova Lex Mercatoria opera entro una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di Stati; la sua funzione è di superare questa discontinuità per regolare, su scala mondiale, non un settore della vita sociale, ma l’intera società: per questo, non avendo questo ordinamento sovranazionale propri organi di coercizione, si avvale degli organi giurisdizionali degli Stati nazionali, di volta in volta competenti per territorio.
La legge non legislativa, non prodotta cioè da istituzioni politiche, sarebbe l’unica compatibile col mercato: si riscopre la valenza antistatale dello “Ius honorarium”, della giurisprudenza del pretore romano accomunata alla common law nell’essere produttrice di norme che risolvono di volta in volta casi concreti, e della necessità di avere regole proprie non legate alla rigidità del diritto civile, e universali, cioè tendenzialmente uguali a prescindere dalla sua applicazione in aree geografiche diverse.
Gli Stati perdono, si può dire, l’esclusiva come legislatori e vengono affiancati da nuovi attori istituzionali e da altri privati; nasce l’esigenza di un diritto sufficientemente generalizzato da decontestualizzarsi rispetto ai vari Stati; possiamo quindi definire la Lex Mercatoria come diritto globale senza Stato.
Bisogna interpretare questo fenomeno allontanandosi dal nostro modo di concepire la fonte del diritto, infatti la Lex Mercatoria, sebbene fonte non scritta, ha tuttavia prodotto in diversi sistemi giuridici statali, in materia commerciale, fonti scritte e tipiche quali norme e regolamenti, proprio perché prima collaudate nell’ambito della prassi negoziale (Es: clausole C.I.F o F.O.B. ….); sono questi i cosiddetti ”Incoterms”, formule sintetiche e sigle standard utilizzate per fornire un insieme di regole internazionali che permettono un’interpretazione univoca ed uniforme dei termini commerciali più comunemente utilizzati, inerenti, soprattutto, al trasferimento fisico delle merci nei contratti di compravendita, con la funzione di individuare un punto preciso dove i rischi ed i costi del trasporto ed assicurativi passano dal venditore al compratore.
Altre fonti della Lex Mercatoria sono i “principi generali del diritto”, gli istituti e clausole contrattuali, o nuovi tipi di contratto invalsi nella pratica del commercio internazionale e divenuti usi e consuetudini in virtù della volontaria e ripetuta adozione degli stessi da parte della generalità degli operatori economici. Infatti, la crescente consapevolezza dell’inadeguatezza delle leggi nazionali a dare risposte a problemi sorgenti da contratti sempre più delocalizzati, tendeva a mettere in primo piano gli usi del commercio, rappresentativi delle reali esigenze degli operatori del commercio internazionale, fino a diventare un autonomo ordinamento formato dalla prassi contrattuale, dagli usi e dai principi generali del diritto, applicabile alla maggior parte dei sistemi giuridici.
Emerge chiaramente come la Lex Mercatoria, frutto della c.d. autonomia privata nel commercio fra contraenti di Stati diversi, sia come regola di condotta in sede di trattative, sia riguardo alle interpretazioni negoziali del contenuto tipico dei contratti, ha assunto attraverso l’usus un ruolo di tale importanza da assurgere a vero e proprio insieme di canoni legali, che oggi con riferimento a determinati rapporti contrattuali ed in certi contesti internazionali, viene a trovare diretta applicazione in mancanza di espressa volontà delle parti, quasi fosse principio fondamentale con efficacia sussidiaria rispetto ad una lacuna normativa.
Le law firms, le pratiche commerciali, i contratti standardizzati, gli arbitrati, sono alcuni strumenti attraverso i quali la Lex Mercatoria configura come diritto transnazionale della società dei mercanti. La sua modalità operativa è la flessibilità e l’adattabilità; il diritto diventa mimetico rispetto ai bisogni del mercato, per cui si moltiplicano i soggetti legislatori, sempre più privati, mentre le regole divengono sempre più mutevoli ed instabili. Si ha sempre più bisogno di nuove forme giuridiche ed il superamento di incertezze e conflitti è affidato ad organismi arbitrali.
Il rischio è, però, che tale sviluppo rimanga affidato ai “pratici” e si realizzi in modo disordinato, senza il supporto dell’intelaiatura tecnico-sistematica di cui hanno bisogno gli operatori del diritto, con il risultato che un eccessivo elemento di discrezionalità da parte di arbitri internazionali possa frustrare quelle esigenze di certezza del diritto indispensabili per gli operatori economici internazionali.
I fattori che hanno prodotto queste regole non statuali del commercio risiedono fondamentalmente:
- nella diffusione delle pratiche contrattuali del mondo degli affari, che, talvolta, avviene in modo spontaneo (modelli contrattuali come il Leasing e il Factoring) e, altre volte, attraverso le associazioni internazionali di categoria che predispongono contratti tipo per gli imprenditori;
- negli usi del commercio internazionale, come ripetuta e uniforme osservanza di pratiche contrattuali, nella convinzione che siano giuridicamente vincolanti;
- nella giurisprudenza delle Camere Arbitrali Internazionali.
Ci sono due correnti di pensiero che danno una giustificazione storica all’applicazione della Lex Mercatoria, quale strumento di uniformazione delle regole del commercio internazionale: 1) la prima, che privilegia l’autonomia della volontà delle parti, sostiene l’esigenza che proprio questa volontà possa svincolarsi, riguardo alla scelta della legge applicabile, dai vari ordinamenti statali. Scegliere il modo con cui regolare un rapporto, però, non significa operare al di fuori di qualsiasi ordinamento; l’autonomia privatistica consiste nella possibilità di scelta della legge regolatrice tra le diverse esistenti, ma sempre nel rispetto delle norme imperative dei vari ordinamenti, che fungono, in questo modo, da limite all’applicazione incondizionata di queste norme.
2) La seconda, fa riferimento ad ordinamenti non statuali esistenti nell’ambito del commercio internazionale, cioè organizzazioni sociali diverse dallo Stato, che creano diritto: in quest’ambito, per esempio, fonti di diritto transnazionale uniforme potrebbero essere i “Principi UNIDROIT”(o Principi dei contratti commerciali internazionali) che, compilati sulla scorta di una ricognizione degli usi commerciali e della giurisprudenza dominante negli arbitrati internazionali, si presentano come un corpo di regole uniformi, che non hanno alle spalle un’organizzazione sovranazionale, ma sono di matrice culturale; vengono a colmare una lacuna del diritto commerciale internazionale costituita dalla non uniformità della disciplina generale dei contratti. Queste clausole o contratti tipo vengono, talvolta, codificati a cura di associazioni di categoria o organizzazioni internazionali: non è, però, tale codificazione che produce la norma di Lex Mercatoria, costituendone solo la rilevazione, la documentazione o un contributo alla sua formazione.
La critica, però, fa notare che, prima di tutto, non è possibile identificare con chiarezza questi ordinamenti non statali; in secondo luogo, si dice che tali organizzazioni non producono norme direttamente vincolanti, per cui la loro applicazione richiede sempre un aggancio ad ordinamenti interni dei singoli Stati; ed infine, anche con riferimento alla possibilità di fare applicare le regole di queste organizzazioni da parte di arbitrati di associazioni di categoria, questi non avrebbero carattere sufficientemente coattivo. Se, quindi, una parte che ha aderito all’arbitrato non rispetta il risultato di questo, sarà necessario il riconoscimento del lodo da parte delle autorità statali.
La giurisprudenza arbitrale internazionale, soprattutto quella del C.C.I., offre un prezioso aiuto alla rilevazione e sistemazione di principi e regole di dettaglio della Lex Mercatoria. Questa appare come un vero e proprio sistema normativo, che fonda la sua giuridicità sull’ ”effettività”, sia come attitudine a regolare fattispecie contrattuali complesse relativamente alle quali gli ordinamenti interni risultano inadeguati, sia per la capacità di imporsi come giuridicamente vincolante in virtù della “opinio necessitatis” che gli operatori economici nutrono nei suoi confronti. Occorre ricordare, inoltre, che in base alle Convenzioni internazionali sull’arbitrato di New York del ’58 e di Ginevra del ’61, i giudici nazionali devono dare esecuzione alle sentenze arbitrali eventualmente rese in applicazione della Lex Mercatoria, senza che possano esercitare alcun controllo delle norme applicate al merito della controversia degli arbitri e con la sola salvezza dell’ordine pubblico internazionale.
L’esistenza della Lex Mercatoria come sistema normativo originario rispetto agli ordinamenti interni degli Stati trova molte conferme, sia in atti normativi o decisioni giurisprudenziali nazionali e sentenze arbitrali internazionali le quali espressamente vi si riferiscono, sia in convenzioni a carattere arbitrale che la richiamano, sia, infine, nel C.C.I., quale organo arbitrale che si presenta con una tipica vocazione all’applicazione della Lex Mercatoria.
Se in base alla scelta delle parti, la Lex Mercatoria si propone come legge regolatrice del contratto internazionale, queste formule sono indicative della volontà di sganciare il contratto da una determinata legge statale. Se essa è la legge più adatta a regolare i contratti internazionali, non vi è ragione perché essa non si applichi anche in assenza di un richiamo espresso o implicito delle parti; è un principio generale del diritto, che gli usi e le consuetudini commerciali si applichino a prescindere da una corrispondente volontà delle parti contraenti; ma essa concorrerà con una o più leggi nazionali quando non sia in grado da sola a regolare un contratto internazionale.
Riguardo alle nostre esperienze, in un sistema giuridico come quello italiano, che si pone storicamente come statocentrico, una fonte esterna all’iter di formazione tipico di una fonte giuridica, difficilmente può affermarsi. Il nostro ordinamento costituzionale, infatti, è chiuso su se stesso, in modo da filtrare in ogni caso l’ingresso di una fonte straniera al suo interno, recependo il contenuto di questa in un’identica norma italiana, in modo da rispettare almeno sotto il profilo formale il principio di sovranità nazionale. Nel sistema delle fonti, c’è da dire, peraltro, che la nostra costituzione prevede gli usi e le consuetudini all’ultimo livello della scala gerarchica: quadro costituzionale questo, che appare insufficiente rispetto alla nuova realtà politico sociale. Trovando questa fonte una collocazione vicina alla consuetudine, e considerando il peso che quest’ultima riveste nel nostro ordinamento, potremmo concludere che nel sistema giuridico italiano la sua applicabilità sia poco probabile; ma non è così.
Infatti, grazie alla legge 218 del ’95 di riforma del diritto internazionale privato si è proceduto ad un progressivo ammorbidimento della visione statocentrica del nostro ordinamento, iniziando col riconoscere, nei casi previsti dalla legge, la giurisdizione del giudice straniero su cause che abbiano come parte processuale un cittadino italiano, o l’efficacia diretta della sentenza straniera in Italia.
Il cenno alla l. 218 del’95 è necessario per definire quelli che sono i “paletti” di delimitazione dell’applicabilità della Lex Mercatoria (così come di ogni altra norma o decisione giurisdizionale che sia di provenienza extrastatuale). Tali limiti sono costituiti dalla eventuale contrarietà della disposizione con una norma di applicazione necessaria o con l’ordine pubblico internazionale (fermo restando l’inapplicabilità in caso di contrasto con la Costituzione).
Le norme di applicazione necessaria sono norme oggettivamente individuabili, essendo preposte a regolare, in determinati settori del diritto privato, rapporti giuridici, che ove fossero regolati in modo differente, determinerebbero un risultato in palese rapporto di conflittualità con i valori che l’ordinamento stesso intende tutelare (es: bigamia).
Il concetto di ordine pubblico internazionale, invece, rimane flessibile, in quanto costituisce il principale strumento giuridico in mano agli Stati per giustificare la non applicazione di norme straniere al proprio interno, perché in palese contrasto con i propri principi fondamentali e costituzionali, o in caso di violazione dei valori giuridici e sociali che l’applicazione della norma straniera potrebbe determinare.
A fronte di un ordinamento statocentrico, la nostra Corte di Cassazione (sentenza n. 6339 del 29 ottobre 1986), ad esempio, ha riconosciuto la valenza della Lex Mercatoria, pur delimitandone l’ambito applicativo ad ipotesi di deferimento ad arbitri: gli si attribuisce, poiché recepisce l’applicazione di usi e regole del commercio internazionale, il valore di fonte del diritto quando la controversia è deferita ad un arbitrato.
Per quanto riguarda le odierne Camere di Commercio, potremmo definirle come le eredi delle antiche corporazioni mercantili, cui storicamente si deve un forte contributo all’accumulazione originaria e la prima regolazione dei rapporti commerciali, attuata mediante gli statuti della “mercantia”. Nell’epoca presente, caratterizzata da un ritorno all’autoregolamentazione dei mercati e dal rilancio di una nuova Lex Mercatoria, le Camere di Commercio recuperano questa originaria funzione. Le leggi degli Stati perdono la capacità di incidere sui processi economici.
Il contratto e gli usi del commercio prendono il posto della legge in molti settori della vita economica, ed è significativo che la riforma del codice di procedura civile, che ha introdotto norme sull’arbitrato internazionale, imponga agli arbitri, quale che sia il diritto applicabile al merito, di tenere conto degli usi del commercio (art. 834, comma 2°). Acquista nuovo vigore la disposizione dell’art. 9 delle preleggi, che attribuisce efficacia di prova presuntiva alle raccolte ufficiali degli usi, quali sono le raccolte ordinate dalle Camere di Commercio.
Ciò spinge oggi la dottrina filo internazionalista a chiedere un adeguamento della struttura dell’ordinamento del nostro Stato rispetto alle esigenze dettate dall’inserimento dell’Italia in un contesto commerciale e sociale transnazionale.
BIBLIOGRAFIA:
GALGANO, Lex Mercatoria, Il Mulino, Bologna, 1993;
Articolo “Lex Mercatoria” di Franco Russo, in “La rivista del manifesto” N. 14 febbraio 2001 (www.larivistadelmanifesto.it);
BORTOLOTTI, “Diritto dei contratti internazionali”, CEDAM, Padova, 1997;
DRAETTA “Diritto dei contratti internazionali”, CEDAM, Padova, 1984;
FRIGNANI, “Il contratto internazionale”, in trattato di diritto commerciale dell’economia diretto da Galgano, Vol. XII, CEDAM, Padova, 1987;
Legge di riforma sull’arbitrato L. 25/94 (artt. 832 e ss. c.p.c.)