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Certifichiamo la posta o imbrigliamo Internet?

di Avv. Andrea Lisi (Studio Associato D.&L., www.studiodl.it)

 

Ho letto in questi giorni dell’ultima novità tutta italiana che ci porta ad  essere primi in Europa e nel mondo nella certificazione della posta elettronica e dei legittimi dubbi di Assoprovider . Leggo dal sito del CNIPA che “la posta elettronica diventa certificata. Il provvedimento - destinato a disciplinare le modalità di utilizzo della Posta Elettronica Certificata (PEC) non solo nei rapporti con la PA, ma anche tra privati cittadini - è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 28 gennaio scorso. Si tratta di un decreto presidenziale finalizzato a dotare di valore giuridico la trasmissione di documenti prodotti ed inviati per via informatica.

Leggo ancora dal sito del CNIPA che “l'e-mail è ormai lo strumento di comunicazione più utilizzato per comunicare. Acronimo di Electronic Mail, la posta elettronica è un mezzo di comunicazione in forma scritta via Internet. La Posta Elettronica Certificata (PEC) è un sistema di posta elettronica nel quale è fornita al mittente documentazione elettronica, con valenza legale, attestante l'invio e la consegna di documenti informatici.”.

Leggo inoltre dall’articolo della Collega Frediani che è previsto “Anche per i privati il riconoscimento della posta elettronica certificata”!

Per gli approfondimenti più propriamente tecnici e giuridici mi sia consentito (per una volta) di rinviare alle considerazioni del CNIPA (rinvenibili sempre sul loro sito alla pagina http://www.cnipa.gov.it/site/it-IT/In_primo_piano/Posta_Elettronica_Certificata__(PEC)/ da dove è possibile anche scaricare lo Schema di Decreto) e alla lettura dei futuri regolamenti di attuazione.

In questo articolo mi limiterò, invece, a fornire delle semplici considerazioni, chiamiamole così, “sociogiuridiche”!

Prima di tutto, tutti si chiedono: cosa faranno i piccoli ISP che non saranno ammessi nella gloriosa “lista” del CNIPA?

Che fine farà la posta elettronica semplice?

E io mi chiedo: come mai noi, sempre notoriamente ultimi nel recepire le leggi comunitarie, siamo proprio in questo ambito così bravi e intraprendenti nel portare in Italia questo cambiamento tecnologico e legislativo (che ci fa essere tra i primi nel mondo)?

Non è facile dare oggi risposte sicure e incontrovertibili: la posta certificata è certamente una grande novità e ha una sua indubbia utilità per le P.A. e per certi rapporti “privatistici”, ma…. c’è un ma…

Perché si pretende sempre e con forza di cancellare a suon di “bacchettate legislative” tutto l’esistente, tutta la prassi telematica?

Riecheggiano nelle affermazioni del CNIPA (e negli articoli dello schema di DPR) i soliti tentativi di “imbrigliare” Internet, di lucrare e far lucrare in maniera evidente grazie all’imposizione di certi strumenti nuovi alle imprese e anche ai privati cittadini.

Quale è lo slogan? Usate la posta elettronica certificata, tutto il resto non ha valore legale! Tutto il resto non esiste più!

E, infatti, anche nell’emanando Codice delle Amministrazioni Digitali, P.A. e privati vengono posti sullo stesso piano: tutti loro devono usare la posta elettronica certificata, tutti devono usare la firma digitale, il resto non ha più valore! Anzi mai l’aveva avuto!

E che importa se le leggi internazionali, le leggi comunitarie dicano espressamente il contrario e se la stessa legge delega per eccellenza, la legge Bassannini (Legge n. 59 del 1997) nell’art. 15 comma 2° ben sentenziava: “Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonchè la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”!?! Secondo questo fondamentale importante norma tutto invece avrebbe dovuto avere un valore giuridico, seppur minimo, seppur da valutare caso per caso, quanto meno nei rapporti tra privati abituati alla autoregolamentazione dei loro interessi, abituati all’aformalismo e alla concretezza, soprattutto in una terra libera quale Internet!

 

Internet, mi è stato insegnato, è “anazionale”, è decentrata, è democratica per eccellenza e per questo fa paura da una parte e fa gola dall’altra.

Nathaniel Hawthorne nel 1851 in una futuribile descrizione del mondo che si sarebbe creato dopo l’invenzione dell’elettricità così profetizzava, forse, l’avvento di Internet: “il mondo della materia è diventato un nervo enorme, vibrante per migliaia di miglia in un battibaleno (…) il globo è una testa enorme, un cervello pervaso di intelligenza”. Ecco, non vorrei che a questa testa enorme si infilasse un cappello così stretto da impedirle di pensare!

Chi ci governa, è triste ammetterlo, si caratterizza per un aggrovigliata accozzaglia di piccoli, grandi “conflitti di interesse” e, quindi, per una serie di inevitabili ingerenze dell’economia nelle scelte politiche e legislative…e anche in questa materia si sta verificando questa tendenza, anzi è ancora più evidente (e non solo nel settore del documento informatico e delle e-mail certificate, ma anche in tanti altri settori del diritto dell’Internet!).

A mio avviso, è evidente il tentativo di imporre a tutti (P.A., cittadini, imprese) strumenti nuovi, pensati a tavolino, certamente più sicuri, certamente utili, ma che nel mondo di Internet ancora nessuno utilizza…e si rischia di essere così i primi, in un totale, imbarazzante isolamento!

E, quindi, si accreditano (pochi) certificatori per la firma digitale e (pochi) ISP per la posta certificata, per porre fine – una volta per tutte – al “democratico strapotere” di Internet!

Eppure basterebbe far evolvere con calma questi utili strumenti, senza la pretesa di sostituire l’esistente, cercando piano piano di “filtrarli” nella prassi, senza troppi sconvolgimenti e senza la pretesa “dittatoriale” di cancellare tutto quello che già c’è; guidando con calma la P.A., l’impresa, il cittadino verso sistemi più sicuri nella gestione dei loro interessi, senza usare la forza, ma fidandosi di più dello stesso inevitabile progresso tecnologico e della autoregolamentazione del mercato.

 

In ogni caso, occorre riflettere anche sul fatto che tutti questi tentativi sino ad oggi si sono rivelati essere dei giganti con i piedi d’argilla: da quanto tempo si parla di firma digitale per tutti? E quanti la usano realmente? Quanto la firma digitale è usata nella prassi?

La verità è che non è facile imporre una “consuetudine”, non è facile generare “quotidianità” dove ci sono vecchie abitudini e imporre strumenti rigidi in mercati liberi che hanno già delle regole consolidate e che respirano (vera) libertà.

E le ragioni sono anche altre: siamo sicuri che veramente tutti usino Internet in maniera consapevole? A che punto è l’alfabetizzazione informatica in Italia?

I tanti propugnatori di questo nuovi strumenti sono mai entrati in uno studio di un professionista? Nelle case di un privato cittadino? Negli uffici di un piccolo ente pubblico? In una micro-impresa?

Non si dovrebbe forse partire da questo, prima di tutto?

Non si dovrebbe creare consapevolezza su quello che già c’è o ci dovrebbe essere prima di cercare di imporre strumenti nuovi?

Infine, per tranquillizzare i piccoli ISP e Assoprovider vorrei sottolinerare che, sin quando non si metteranno le mani sulle belle norme del nostro codice civile e sui principi generali del nostro ordinamento, Internet rimarrà salva e la comunicazione telematica rimarrà libera, e saranno salve anche le semplici e-mail (almeno nei rapporti tra privati). Insomma, i privati potranno anche “infischiarsene” di questa novità (che dimostrerà con il tempo quanto sarà realmente utile) regolando i loro affari come meglio credono, nello spirito della democratica autoregolamentazione. Basta sfogliare il codice civile  e ricordare qualche articolo (ad esempio gli artt. 1322 e 1352) per dormire sonni tranquilli…

 

 

04/02/2005

 

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