di Andrea Lisi (Titolare dello Studio Associato D&L – www.studiodl.it // Fondatore del portale per l’ICT e l’International Trade - www.scint.it) (*)
Premesse
Ormai la giurisprudenza sembra dare pienamente ragione a quanto da tempo sosteniamo sulle pagine di scint.it: nell'evoluzione del linguaggio commerciale una e-mail e un fax non possono NON essere considerati documenti validi giuridicamente e, quindi, costituire "forma scritta" e "prova scritta" (a fini contrattuali e processuali).
Da ultimo anche il Tribunale di Ancona con ordinanza 09.04.2005 ha statuito che "la prova scritta ostativa alla concessione della provvisoria esecuzione di un provvedimento monitorio richiesta nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ex art. 648, c.p.c., può ravvisarsi anche nell’intercorsa corrispondenza, trasmessa via fax ed e-mail a sostegno della domanda riconvenzionale spiegata dall’opponente per il riconoscimento della pretesa di credito vantata nei confronti dell’opposto" (il provvedimento è pubblicato su Altalex alla pagina http://www.altalex.com/index.php?idnot=9588 con nota di V. Amendolagine).
Questo ovvio riconoscimento giuridico, pur togliendo ogni dubbio sulla inevitabile rilevanza giuridico-formale di una semplice e-mail o di un telefax, non può mettere in discussione l'altrettanto ovvia considerazione che una e-mail o un telefax non sono documenti sicuri e incontrovertibili: occorre ricordare comunque che mai la tradizione giuridica ha assicurato validità giuridica alle sole manifestazioni di volontà contenute in documenti certi e solenni, anzi è vero esattamente il contrario.
1. Il controverso valore formale di una e-mail
Da ormai un anno a questa parte si susseguono in Italia vari provvedimenti giudiziali (nello specifico decreti ingiuntivi) basati prevalentemente o esclusivamente sulla produzione di semplici e-mail. Ciò che stupisce è la naturalezza con cui i giudici accettino la produzione in giudizio di questi documenti e quanto questo sia avvertito come un’eresia da una parte (minoritaria) della dottrina giuridica italiana.
Le accese discussioni sorte intorno alla questione del valore di una e-mail riguardano, da un lato, i sostenitori della tesi secondo la quale solo il documento informatico provvisto di firma digitale o avanzata può garantire sicurezza ed affidabilità e, quindi, avere valore giuridicamente rilevante e, dall’altra, coloro i quali affermano che è assolutamente necessario garantire una esistenza giuridica alle e-mail e alle nuove forme di contrattazione telematica sprovviste di firma digitale, al fine di favorire lo sviluppo del commercio elettronico.
Secondo i sostenitori della prima tesi dottrinale l’e-mail non può essere considerata “prova scritta”, ai sensi dell’art. 633 c.p.c., per il semplice fatto che la firma elettronica leggera non attesta la paternità di un documento ad una persona, ma si limita ad autenticare il soggetto abilitato ad un determinato servizio (quindi, non garantisce né l’immodificabilità e l’integrità del documento, né la sua provenienza, degradando quindi tale documento informatico a mera riproduzione meccanica). L’e-mail priva della “sottoscrizione digitale” costituirebbe un documento scritto, trascritto, ma non sottoscritto, ed è mancante così di quel requisito essenziale in grado di conferirle efficacia di scrittura privata e, quindi, necessario per l’emanazione di un decreto ingiuntivo ex artt. 633 e 634 c.p.c. ()
Dall’altra parte, c’è chi sostiene con fermezza l’esistenza giuridica di tali documenti sprovvisti di firma digitale, non fosse altro che per garantire la loro sopravvivenza nella prassi generatasi dal commercio elettronico internazionale (). Secondo tale corrente dottrinale il legislatore comunitario (e, di conseguenza, la legge italiana di recepimento) avrebbe garantito ampia libertà alle parti contrattuali nell’utilizzo dei nuovi sistemi di comunicazione elettronica propri del commercio elettronico, senza soffocare la nozione di “firma elettronica” in inutili formalismi e “tecnicismi” che avrebbero ostacolato e complicato tali scambi commerciali per loro natura internazionali.
A ben vedere, infatti, anche documenti elettronici “scritti” non sicuri, quali una e-mail, possono essere considerati mezzi idonei a formalizzare accordi tra privati, purchè agli stessi si possa attribuire una qualche paternità; infatti, il mittente di una e-mail, in ogni caso, dovrà normalmente eseguire un’operazione di “autenticazione” inserendo il proprio user name e password che garantirà un legame tra l’utente del servizio di posta elettronica e lo strumento di comunicazione utilizzato per formalizzare lo scambio commerciale.
Sul piano formale, pertanto, pur non essendo equiparata alla scrittura privata, la e-mail quale valida manifestazione di volontà - e come qualsiasi altra forma di comunicazione che conservi la documentazione delle informazioni contenute e sia riproducibile in forma tangibile e sia in qualsiasi modo riferibile ad un soggetto - potrebbe soddisfare il requisito della “forma scritta” (come un telegramma o un fax); dal punto di vista probatorio, poi, sarà sempre il giudice a dover valutare il documento, anche in base alle circostanze di affidabilità o meno della e-mail stessa così come di qualsiasi altro documento elettronico prodotto in giudizio e sprovvisto di firma digitale o avanzata.
2. Cosa è la firma elettronica in Italia e in Europa
Il concetto di firma elettronica cd. leggera è stato introdotto nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 10/2002, di recepimento della direttiva 1999/93/CE. Tale direttiva è nata come una forma di reazione alle legislazioni statali italiane e tedesche che si incentravano esclusivamente sulle firme digitali e ha adottato un approccio “tecnicamente neutrale”, introducendo un riconoscimento legale a livello europeo per tutti i tipi di firme elettroniche.
Oggi, in Italia e in Europa, grazie al recepimento di tale direttiva, non hanno più rilevanza giuridica i soli documenti provvisti di firma digitale (e, cioè, generati attraverso quel procedimento informatico, basato sul sistema di crittografia asimmetrica e, quindi, su una coppia di chiavi una privata ed una pubblica, mediante il quale si assicura la provenienza dal mittente e si garantisce, così, al documento informatico la paternità e la segretezza), ma anche altri tipi di documenti dotati di firma elettronica, ai quali “in ogni caso non può essere negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di prova unicamente a causa del fatto che sono sottoscritti in forma elettronica ovvero in quanto la firma non è basata su di un certificato qualificato oppure non è basata su di un certificato qualificato rilasciato da un certificatore accreditato o, infine, perché la firma non è stata apposta avvalendosi di un dispositivo per la creazione di una firma sicura” (così il 4º comma dell’art. 10 d.P.R. 445/2000, cd. T.U.D.A., come modificato dal D.Lgs. n. 10/2002). L’art. 10, comma 2, del D.P.R. 445/2000 oggi espressamente afferma che il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica “debole”, soddisfa il requisito legale della forma scritta ed è liberamente valutato dal giudice, in base alle sue caratteristiche di qualità e sicurezza. Mentre, se tale documento risulta “sottoscritto” con firma elettronica digitale o avanzata (e la firma è basata su di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura) fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni ivi contenute.
Secondo la lettura di tali disposizioni appare, quindi, indubbio che un qualsiasi documento informatico basato su una qualsiasi forma di “autenticazione informatica” del suo autore (infatti, secondo il D.Lgs. n.10/2003, art. 2, la firma elettronica altro non è che l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica) possa essere considerato “forma scritta”, liberamente valutabile dal giudice dal punto di vista probatorio ().
3. Una possibile lettura delle norme sul documento informatico in linea con gli ultimi orientamenti legislativi e giurisprudenziali nazioanli e internazionali
In verità, questa chiave di lettura della legislazione in materia di documento informatico si giustificherebbe e troverebbe un fondamento giuridico anche sulla base di un’interpretazione evolutiva dell’art. 2705 c.c ., così come è stato recemente espresso in un articolo dell’avv. Laura Turini (); infatti da tempo numerose normative internazionali e comunitarie (e quindi i principi “anazionali” del diritto commerciale internazionale), ma così anche la giurisprudenza e la dottrina hanno operato una parificazione tra l’e-mail, il telex, il telefax ed il telegramma. Numerose massime giurisprudenziali hanno riconosciuto al telegramma, anche se non sottoscritto dal mittente, l’efficacia formale di una scrittura privata e a conclusioni analoghe si è pervenuti con il telex, il telefax e oggi l’e.mail.
In proposito, la Suprema Corte di Cassazione – in una causa attinente alla validità di un licenziamento – ha avuto modo di affermare che “la finalità di certezza della manifestazione della volontà di licenziare e di ricezione della stessa da parte del destinatario, perseguita dal legislatore attraverso l’imposizione della forma scritta, è soddisfatta ogni qual volta il documento scritto basti alla estrinsecazione formale di detta volontà, ciò che si verifica anche col telegramma, purché il destinatario non ne disconosca la provenienza” (Sez. Lav., 23 ottobre 2000, n. 13959, in Giust. civ. Mass., 2000, 2166). Si ricorda, inoltre, un’altra importante massima della Suprema Corte, secondo la quale al telegramma non sottoscritto quale è quello inviato per telefono può essere riconosciuta l'efficacia probatoria della scrittura privata a norma dell'art. 2705 (Cass. 1990 n. 6788). Infine, si ricordano le varie pronunce giurisprudenziali secondo le quali il telex non disconosciuto acquisterebbe l’efficacia probatoria della scrittura privata riconosciuta (Trib. Ascoli Piceno 7.9.80; Tribunale Taranto 11.5.1981).
Il telegramma, come il telex o il telefax, sono stati quindi ritenuti dalla giurisprudenza anche più risalente come valide prove scritte per l’emissione del decreto ingiuntivo (Corte di Appello di Napoli, 17.02.1989; Corte di appello di Ancona, 5.04.1982; Tribunale di Ascoli, 7.08.1980; per l’ipotesi delle copie fotostatiche, Tribunale di Milano 3.01.1985).
Del resto, poiché in base a questa interpretazione è stato riconosciuto valore di “forma scritta” al telex ed al telefax, non si comprende il motivo per cui non debba essere riconosciuto uguale valore all’e-mail, quanto meno come “documento scritto” a prescindere dalla sua sicurezza o dal suo valore probatorio. Come sappiamo l’e-mail, alla stregua del telex, non indica con sicurezza assoluta il mittente, ma lo strumento dal quale è partito il messaggio e, quindi, il soggetto che dovrebbe avere il potere giuridico e di fatto sullo stesso (e questo anche in base a quel senso di appartenenza e legame “sicuro” con il proprio strumento telematico di lavoro insito in tutta la recente legislazione in materia di protezione dei dati personali, oggi in vigore in Italia e in Europa). E-mail, telefax e telex non ci dicono con sicurezza chi ha inviato il messaggio, ma chi è l’utente che ha titolo per l’uso ed è responsabile dell’apparecchio trasmittente. Si ricordano in proposito le parole di autorevole dottrina per spiegare meglio questo concetto: “l’elaborazione del valore giuridico del messaggio trasmesso per telex è agli inizi. Il telex memorizza un messaggio, senza identificare il mittente. Il messaggio però identifica l’apparecchio trasmittente. In altre parole: il telex non dice con sicurezza chi ha inviato il messaggio, ma dice chi è l’utente (più esattamente: chi ha titolo per l’uso) e, quindi, chi è responsabile dell’apparecchio trasmittente […]. La dichiarazione per telex individua il soggetto di un potere giuridico a cui si accompagna di norma un potere di fatto” ().
Possiamo trovare conferme a questa particolare lettura interpretativa ed evolutiva del concetto di “forma scritta” di un documento anche nelle disposizioni contenute nei Principi di diritto europeo dei contratti (PECL 2002) e nei Principi UNIDROIT (2004). Conformemente anche ai principi contenuti nella Convenzione internazionale di Vienna del 1980, infatti, in questi autorevoli Principi anazionali sui contratti internazionali di sosfisticata elaborazione dottrinale per “forma scritta” si intende qualsiasi forma di comunicazione che conservi la documentazione delle informazioni contenute e sia riproducibile in forma tangibile. E tra i documenti aventi forma scritta vengono ricompresi i telegrammi, i telex, i telefax , e la stessa posta elettronica e, quindi, ogni altro strumento di comunicazione in grado di produrre un documento suscettibile di lettura dall’una e dell’altra parte.
In poche parole, a prescindere dalla spinosa questione relativa al valore della e-mail quale documento informatico provvisto (oppure sprovvisto) di firma elettronica “leggera”, appare indubitabile che oggi anche le semplici e-mail - quali manifestazioni di volontà espresse attraverso moderne tecniche di trasmissione della volontà - nell’evoluzione sociologica e giuridica del nuovo linguaggio di Internet, vadano considerate documenti informatici “scritti”, validi e rilevanti per tutte le future contrattazioni on line (e per l’emissione di decreti ingiuntivi)!
(*) Il presente contributo costituisce una rielaborazione del saggio "I documenti informatici scritti, firmati, ma non sosttoscritti entrano nelle aule dei Tribunali" di A. Lisi e G. Garrisi, pubblicato sulla Rivista "Il Giudice di Pace", Ipsoa, n. 1, 2005, p. 23.