Internazionalizzazione: la Palestina apre agli investimenti esteri
Apre lo sportello unico per le imprese, palestinese: un passo avanti per la ripresa economica del Medio Oriente
Gerusalemme - L'Agenzia Palestinese per la Promozione degli Investimenti (PIPA), con il patrocinio del primo ministro dell'Autorità Palestinese, Ahmad Qurei nell'ambito del progetto 'After Care Service', ha attivato lo 'Sportello Unico dell'investitore', denominato 'One-Stop Shop'.
Lo sportello unico consentirà a chi vorrà investitire nei territori palestinesi di poter accorciate sensibilmente i tempi d'attesa per l'espletamento delle pratiche necessarie al lancio di una nuova iniziativa o all'attuazione di un progetto già avviato.
Inizialmente è previsto che lo sportello impieghi circa un mese per estinguere tutte le pratiche necessarie all'attivazione di una nuova attività, contro gli 83 giorni di media precedenti all'attivazione del servizio. Secondo la PIPA, a regime, lo sportello impiegherà al massimo 10 giorni per completare le procedure per l'avvio di un progetto.
La PIPA è stata fondata nel gennaio 2000 come istituzione autonoma . Con un Consiglio Direttivo composto da membri del settore sia pubblico che privato, la PIPA ha un ruolo pro-attivo nel promuovere i vantaggi della Palestina tra gli investitori stranieri.
"Il 'One-Stop Shop' è stato attivato ufficialmente a maggio - dichiara Shireen Anabtawi, direttrice del dipartimento per le relazioni internazionali della PIPA - e lavorerà a pieno regime, nelle nostre previsioni, nel giro di pochi mesi . Ovviamente il nuovo ufficio non si occupa di tutto il processo di avvio di un'attività, si appoggia a sei rappresentanti istituzionali, tra cui il Ministero dell'industria, dell'Agricoltura e delle Finanze, ma fornisce tutta l'assistenza e il materiale necessario agli investitori, che ora hanno, di fatto, un unico punto di riferimento. Ne consegue un sensibile snellimento delle pratiche e una conseguente velocizzazione delle medesime".
Il 'One-Stop Shop' , rappresenta una delle prime, importanti tappe per il rilancio dell'economia palestinese, ricca di ottime possibilità ma gravemente mutilata dal fragilissimo assetto politico degli ultimi anni, che riflette anche in campo economico il disagio suscitato dalle continue tensioni interne.
Da quanto si apprende da Mondimpresa, anche se risulta difficile reperire dati economici aggiornati relativamente alle attività produttive dei territori occupati, è comunque possibile affermare che tutte le voci della modesta economia palestinese sono state in costante crescita almeno fino alla fine degli anni '90, ad eccezione dell'agricoltura che lentamente cede il passo all'industria ed ai servizi che hanno notevolmente aumentato il loro peso come componenti del PIL.
Lo scoppio dell''Intifada' del nuovo millennio ha, però, avuto un significativo impatto su tutti i settori produttivi palestinesi, ed in particolare sul già modesto settore manifatturiero e sul settore delle costruzioni. Reggono invece i servizi, mentre l'agricoltura cerca di mantenere i livelli produttivi che tuttavia non appaiono nemmeno sufficienti a coprire il fabbisogno della popolazione.
"In Palestina non c'è una forte attività italiana: i tempi sono lunghi e i finanziamenti scarsi, con un conseguente calo della volontà degli investitori italiani ad operare nel Paese, per non parlare della situazione generale delicatissima che non fa che allarmare gli investitori . Le poche situazioni italiane si registrano nel settore privato. Per quanto riguarda i settori strategici la presenza italiana è quasi nulla: in Palestina c'è solo una joint venture nel settore edilizio" dichiara Maria Pia Pantaleo direttrice dell'Ufficio per il Commercio Estero (ICE) di Amman, dal quale dipende la delegazione di Gerusalemme, confermando l'ipotesi di un contesto poco incoraggiante che genera diffidenza e cautela.
Ed è necessario aggiungere che in realtà, l'entità dell'interscambio dell'Italia con i territori palestinesi non è quantificabile in modo chiaro, considerando l'andamento altalenante generale dell'economia nell'area israeliana e palestinese. I territori palestinesi sono inseriti nella linea doganale israeliana, per cui non è sempre facile discernere i dati.
Il saldo commerciale risulta attivo per l'Italia e complessivamente il volume degli scambi è stato in aumento nel 2002 rispetto al 2001 e agli anni precedenti sia per quanto riguarda l`export che l`import. Il 2003 (ultimo dato disponibile) ha invece segnato una nuova riduzione dei rapporti commerciali di circa un terzo rispetto all'anno precedente.
Sotto il profilo della composizione merceologica, le importazioni italiane dalla Palestina anche nel 2003, confermando il trend degli anni precedenti, sono concentrate nella voce relativa ai materiali lapidei, seguita dai prodotti in legno, sughero e paglia e prodotti dell'industria manifatturiera, con una certa importanza anche degli acquisti di prodotti alimentari.
Le voci più rilevanti dell'export italiano verso i territori palestinesi sono quelle relative ai prodotti alimentari insieme agli autoveicoli. L'Italia nel 2003 ha però venduto alla Palestina anche notevoli quantità di gioielli e prodotti dell'oreficeria, utensili, apparecchi e macchine in genere. La crescita economica palestinese, nonostante i progressi registrati tra il 2003 ed il 2004, resta a circa il 74% di quanto registrato nel 1999, cioè nell'ultimo anno precedente la ripresa delle tensioni tra Israele e Palestina.
Le prospettive per i territori palestinesi del dopo Arafat sono però incoraggianti. Ad un primo momento di incertezza politico-sociale potrebbe, infatti, seguire una fase in cui, con la presenza di nuovi leader politici più disposti al dialogo, il conflitto israelo-palestinese potrebbe essere generalmente meno acuto già da quest'anno.
Ciò andrebbe a tutto vantaggio anche della ripresa dei progetti infrastrutturali, fondamentali per il sollevamento economico dei territori palestinesi, che però sono legati alla ripresa di fiducia degli investitori e donatori internazionali, in gran parte da ricostruire.
"La Palestina gode di un grande potenziale economico, ed è per questo che gli investimenti stranieri, anche grazie a noi, sono incoraggiati sia nel settore pubblico che privato. Nel 1998 è stata approvata la Legge sull'incoraggiamento degli investimenti stranieri in Palestina, che prevede una serie di agevolazioni fiscali su periodi definiti, esenzione dalle tasse sulle entrate per investimenti superiori ai 100,000 dollari, e agevolazioni per investimenti in ospedali e hotel", conferma fiduciosa Anabtawi.
Precisa Pantaleo, che dopo aver fornito inizialmente un quadro piuttosto scoraggiante, ammette che "nonostante le attuali prospettive, siamo ad una svolta, il settore privato offre oggi spunti interessanti, ad esempio nel campo del marmo, dell'olio d'oliva o del legno. Inoltre è stata approvata la legge per tutelare gli investimenti esteri, se avverrà il ritiro da Gaza sarà già un buon punto di partenza".
"L'interesse da parte degli investitori stranieri nei confronti dei mercati medio-orientali c'è ed è ben definito - afferma poi Davide Diurisi, responsabile dell'area aziendale dello Studio di consulenza D&L -, alimentato dalla necessità di trovare nuovi sbocchi di fronte all'incombenza della competizione sui mercati tradizionali: un esempio estremamente attuale è quello della Cina".
L'importante è non buttarsi a rotta di collo in avventure dal dubbio esito, per la frenesia di piantare a tutti i costi la bandiera per primi. Le possibilità di successo vanno, ovviamente, valutate attentamente, con la lente di ingrandimento puntata sui settori strategici.
"I filoni principali su cui puntare sono tre: quello industriale, quello dei servizi innovativi e quello dei servizi collaterali - spiega Diurisi -. Il primo caso si riferisce quindi ai campi edile, meccanico e delle materie plastiche, mentre il secondo e il terzo offrono diverse possibilità in realtà quali l'informatica, la pianificazione strategica e l'assistenza finanziaria: va creata la base finanziaria del mercato. Bisogna considerare infatti che a fronte di una massiccia quantità di materie prime, è molto scarso il know-how locale. C'è bisogno di garanzie ed informazione, come ad esempio il one-stop shop potrà offrire".
Un'incremento degli investimenti stranieri, offrirebbe dunque un vantaggio bilaterale: non solo per gli investitori, ma anche per la Palestina come Paese (e non solo), che troverebbere un po' di respiro, con una crescita economica di cui ha un estremo bisogno. "Gli investimenti stranieri non gioverebbero solo alla Palestina, ma a tutto il medio-oriente" conclude Anabtawi.
Fonte: News ITALIA PRESS
http://www.newsitaliapress.it/interna.asp?sez=984&info=118971
20/07/2005