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Telelavoro, diritti della persona e danno esistenziale

Giuseppe Cassano
(docente di diritto privato nell'Università Luiss di Roma)

1. Introduzione. La molteplicità delle definizioni di telelavoro indica la difficoltà di qualificare e circoscrivere un fenomeno affatto unitario. Infatti, fermi restando gli elementi essenziali dalla cui combinazione risulta caratterizzato, ovvero l'esecuzione a distanza della prestazione lavorativa e l'impiego degli elaboratori elettronici, il telelavoro include nel suo ambito una molteplicità di forme di esecuzione dell'attività lavorativa, di tipologie e soluzioni organizzative.
Ad esempio, in relazione al tipo di collegamento che intercorre tra il computer terminale e il computer madre possono essere individuate tre tipologie:
"il telelavoro off line (in questo caso il telelavoratore elabora dati per proprio conto, senza alcun collegamento con il computer centrale al quale fa, poi, pervenire i risultati del proprio lavoro servendosi di supporti tradizionali quali la posta, l'invio di floppy disk o la trasmissione telefonica); il telelavoro one way (in questo caso il collegamento tra il videoterminale esterno e il computer madre è molto semplice, nel senso che i dati affluiscono direttamente a quest'ultimo senza che però sia possibile un controllo diretto e un intervento immediato sul terminale esterno: si tratta di un collegamento a senso unico, come nel caso di una telescrivente altamente perfezionata); il telelavoro on line (il lavoratore opera su un videoterminale inserito in una rete di comunicazione elettronica che consente un dialogo interattivo fra i vari videoterminali esterni e fra questi e il computer madre). Quest'ultima figura è senza dubbio quella che più di ogni altra tipizza il telelavoro, distinguendolo da tutte le altre forme di decentramento produttivo. Infatti, nel tipo di telelavoro on line, il telelavoratore, pur svolgendo la prestazione a distanza dalla sede centrale, può interagire in tempo reale con il resto dell'organizzazione aziendale e, conseguentemente, può rimanere immutata l'integrazione del lavoratore" (Gaeta, infra, 1993, 70).
Dal punto di vista organizzativo, il telelavoro può essere svolto presso il domicilio del lavoratore; in uffici satellite (si tratta di uffici che vengono creati in aree geograficamente distanti dalla sede centrale. Le ragioni del decentramento possono essere diverse: quelle di localizzare gli uffici laddove sono minori i costi, creare una struttura più diffusa e capillare mediante l'apertura di filiali in nuove aree di penetrazione, rispondere più prontamente alle sollecitazioni del mercato mediante un raccordo funzionale fra domanda locale e offerta e, infine, collocare gli uffici in zone più prossime alle abitazioni dei lavoratori); in centri comunitari (sono centri di lavoro utilizzati da più utenti, dipendenti di diverse aziende, liberi professionisti, etc., che non sono in grado di acquistare da soli le attrezzature necessarie. Essi si distinguono in centri di quartiere o periferici, collocati in zone residenziali, centri metropolitani che fungono da strutture di sostegno per liberi professionisti o piccole aziende, centri regionali che hanno lo scopo di promuovere lo sviluppo locale); in sistemi aziendali distribuiti (è una forma di telelavoro che si realizza tra più unità produttive coinvolte nella produzione di uno stesso bene o nell'erogazione di uno stesso servizio e collegate tra loro attraverso una rete telematica. Le unità possono appartenere ad una stessa impresa o essere indipendenti, ma operanti nello stesso settore. Lo scopo è quello di conseguire particolari economie di scala e, contemporaneamente, garantire l'efficienza e la flessibilità proprie delle imprese di piccole dimensioni); in imprese di lavoro a distanza o teleimprese (si tratta di un'impresa che organizza l'erogazione di servizi a distanza, su una base remota rispetto ai clienti, utilizzando impiegati che lavorano nelle proprie zone di residenza e le tecnologie necessarie al collegamento operativo tra le varie postazioni di lavoro, la sede centrale e la sede dei clienti); infine, presso postazioni mobili (tale soluzione organizzativa è caratterizzata dalla continua variabilità dei luoghi di espletamento della prestazione, in relazione alle esigenze particolari dell'attività lavorativa).
Le attività lavorative che possono essere svolte mediante il telelavoro sono quelle che contemplano la produzione e/o l'elaborazione di dati, informazioni, testi e simboli, nelle quali tanto l'input (dati) che l'output (risultati) possono essere veicolati e supportati dalle moderne tecnologie informatiche e telematiche. Il settore nel quale può essere più facilmente introdotto il telelavoro è, dunque, il terziario ed in particolare il terziario avanzato. I requisiti richiesti per il decentramento di attività e mansioni mediante il telelavoro sono: la possibilità di segmentare i compiti da svolgere, distribuendoli su una rete di terminali, e di coordinarli a distanza; la facilità di controllo e valutazione dell'attività per risultati; la prevalenza di procedure definite, semplici e ripetitive e, infine, la possibilità di svolgere l'attività in piena autonomia, al di fuori di procedure prestabilite e codificate. Di conseguenza, i compiti che maggiormente si prestano ad essere eseguiti a distanza mediante le tecnologie informatiche e telematiche sono, da una parte, quelli esecutivi e spersonalizzati, a basso contenuto professionale e, dall'altra, quelli ad elevato contenuto professionale, creativi e autonomamente gestibili.
Invece, sono minori le possibilità di introduzione del telelavoro nell'ambito delle attività d'ufficio, le quali necessitano di una continua e diretta interazione con le attività dirigenziali e gestionali cui fanno da supporto. Mentre, per queste ultime può agire da freno ad una ipotesi di decentramento mediante il telelavoro il sistema delle responsabilità ed il tipo di performance atteso. Per questi ruoli può essere più realistico pensare ad un ricorso a soluzioni temporanee di telelavoro per l'espletamento di particolari compiti, come la realizzazione di uno studio o la presentazione di un rapporto.
I vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'introduzione di forme di telelavoro, vanno differenziati rispetto ai principali soggetti coinvolti: l'impresa, il lavoratore, la collettività.
"Dal punto di vista delle imprese, il telelavoro offre principalmente l'opportunità di aumentare la produttività e l'efficienza, ridurre le spese di gestione (soprattutto quelle relative all'acquisto o all'affitto dei locali aziendali), conseguire una maggiore flessibilità operativa e, infine, ridurre il turn over del personale, trattenendo i dipendenti che, per motivi oggettivi (trasferimento dell'azienda) o soggettivi, non possono più rimanere in azienda. A fronte di questi benefici non mancano, però, i costi che devono essere sopportati per la delocalizzazione degli uffici, quali le spese (ancora elevate) degli investimenti in sistemi hardware e software ed in corsi di formazione. A ciò si aggiunge il timore che l'isolamento, cui il telelavoro costringe i lavoratori remotizzati, con possibili effetti negativi non solo sulla sua produttività. Dal punto di vista dei lavoratori, il telelavoro offre benefici legati innanzitutto alla possibilità di gestire in modo più flessibile i tempi di lavoro, scegliendo con maggiore libertà i ritmi e i luoghi di lavoro, e di disporre di maggiore tempo libero, grazie all'eliminazione o riduzione dei tempi impiegati per raggiungere il posto di lavoro. Il telelavoro svolto presso l'abitazione del lavoratore consente, inoltre, una maggiore presenza nell'ambito familiare. Tra i possibili svantaggi derivanti dal telelavoro, quello maggiore per il lavoratore è l'isolamento; infatti, prestare l'attività lavorativa al di fuori dei locali aziendali e, per di più, mediante strumenti che possono concorrere ad aumentare il senso di alienazione, può voler dire la perdita dei contatti sia professionali che umani. La mancanza di un vero e proprio ambiente di lavoro può riflettersi negativamente sulla crescita professionale del lavoratore, sullo scambio di esperienze, sulla costruzione, più in generale, delle relazioni professionali" (Cassano e Polidoro, infra, 1998, 167).
Complessivamente positivo è l'impatto che il telelavoro ha sul sistema sociale e sulla collettività. Gli effetti positivi più apprezzabili sono quelli di una minore congestione del traffico, di un minore investimento in infrastrutture e attrezzature di trasporto pubblico, di una maggiore razionalizzazione dell'assetto territoriale e, infine, della possibilità di sviluppo delle zone rurali e depresse.

2. Sperimentazioni del telelavoro e accordi per l'adozione. In Italia, il ricorso a forme di telelavoro è un fenomeno relativamente recente e di dimensioni ancora modeste. Le ragioni di questo ritardo non vanno ricercate nei vincoli di natura tecnica ed economica (sotto questo profilo il telelavoro è perfettamente realizzabile), ma, piuttosto, in quelli di tipo culturale ed organizzativo. Nel nostro Paese, infatti, stenta ad affermarsi quella cultura del decentramento e della flessibilità che è alla base delle principali esperienze di telelavoro realizzate a livello internazionale; sui soggetti eventualmente coinvolti, inoltre, agiscono ancora forti condizionamenti di natura psicologica, connessi ai timori di isolamento sociale e professionale, associati a questa forma di lavoro.
Il principale ostacolo all'introduzione del telelavoro in Italia viene individuato nella rigidità degli attuali modelli organizzativi, caratterizzati da una struttura fortemente gerarchica. Le resistenze maggiori sono venute proprio dallo stesso management aziendale, preoccupato di perdere il proprio potere fondato prevalentemente sul controllo diretto dei lavoratori e non adeguatamente preparato ad un rinnovamento nei sistemi organizzativi e di gestione delle risorse umane.
Riserve e preoccupazioni sono state espresse anche dalle organizzazioni sindacali, soprattutto nei riguardi del telelavoro domiciliare. Esse sono legate al timore di un ritorno a condizioni di lavoro preindustriali, alla perdita di potere contrattuale del lavoratore, pericolo paventato soprattutto per le categorie con scarsa qualificazione professionale, alla frammentazione della forza lavoro, con conseguente isolamento che la esporrebbe al rischio di sfruttamento attraverso il cottimo telematico, alla difficoltà di organizzare sindacalmente i telelavoratori.
"Inoltre, l'introduzione del telelavoro in Italia è stata fortemente condizionata dalla circostanza che, alla luce del diritto positivo e dei contratti sindacali, la qualificazione giuridica del telelavoratore non è chiaramente determinabile. A ciò si aggiunge la rigidità e l'arretratezza dell'attuale legislazione del lavoro, scarsamente idonea a regolamentare forme di lavoro flessibili legate all'innovazione tecnologica" (Pizzi, infra, 1996, 156).
Negli ultimi anni, però, il vivace interesse suscitato da questo tema sta coinvolgendo anche le aziende e i sindacati, che hanno mostrato una crescente disponibilità ad una sperimentazione effettiva del telelavoro. A partire dal 1994, la contrattazione collettiva italiana ha sottoscritto i primi accordi per l'adozione di forme di telelavoro; le aziende interessate sono: Saritel S.p.A., firmato il 15 dicembre 1994; Italtel Società Italiana Telecomunicazioni, firmato il 17 gennaio 1995; Seat S.p.A., firmato il 31 marzo 1995; Dun & Bradstreet Kosmos S.p.A.,firmato il 8 giugno 1995; Telecom Italia S.p.A., firmato il 1 agosto 1995; Digital Equipment, firmato il 13 febbraio 1996; Confcommercio , firmato il 20 giugno 1997.
Particolarmente importante è il CCNL firmato il 9 settembre 1996, valido per il personale dipendente dalle Aziende di Telecomunicazione aderenti all'Intersind. Quest'ultimo rappresenta il primo contratto collettivo nazionale che ha previsto il ricorso al telelavoro in termini generalizzati per tutte le aziende firmatarie.
Nell'accordo si prevedono, tra l'altro, tre tipologie di telelavoro:
- il telelavoro domiciliare, l'attività lavorativa viene prestata dal dipendente presso il proprio domicilio, fatti salvi i rientri in azienda correlati alla natura delle mansioni svolte;
- il working out, l'attività lavorativa viene prestata in luoghi, diversi dalla sede aziendale, caratterizzati da una continua variabilità;
- il telelavoro a distanza, l'attività lavorativa viene prestata da remoto presso centri logisticamente distanti dalla sede aziendale cui fa capo l'attività medesima in termini gerarchici e sostanziali.
E' opportuno evidenziare che tutte le aziende firmatarie hanno introdotto il telelavoro sotto l'urgenza di situazioni di crisi aziendali. Esse, dunque, non hanno visto nel telelavoro un strumento per aumentare la produttività e flessibilità, ma un mero espediente per ridurre le spese di produzione, edilizie e infrastrutturali, per trovare soluzioni al personale in esubero, all'esigenza di trasferimento di uffici o alla chiusura di sedi periferiche. Da qui l'esclusiva adozione della forma domiciliare e a tempo pieno.
"La disciplina del telelavoro nell'ambito contrattuale indicato ha seguito delle linee guida comuni. Gli accordi in materia, infatti, presentano caratteristiche simili; ad esempio, tutte le sperimentazioni effettuate concernono un numero molto esiguo di lavoratori e riguardano una vasta gamma di figure e livelli professionali, sebbene tutte comprese nel campo tecnico ed impiegatizio. Inoltre, per tutte le aziende firmatarie, l'introduzione del telelavoro ha carattere sperimentale. La sperimentazione, tuttavia, costituisce solo il primo passo nell'ambito di un progetto che mira ad una sempre più estesa applicazione del telelavoro. In tutti gli accordi, infatti, sono stati previsti incontri tra l'azienda, i sindacati e gli stessi telelavoratori da tenersi nel corso della sperimentazione e al termine di essa, per analizzarne l'andamento e valutarne i risultati, al fine di pervenire, in caso di raggiungimento degli obiettivi prefissati, ad una prosecuzione ed ampliamento dell'iniziativa, fino al consolidamento dell'istituto. Altro carattere comune è la volontarietà dell'adesione, con possibilità di recesso bilaterale.
I punti più significativi degli accordi citati sono:
- mantenimento dell'inquadramento professionale precedente;
- spese delle apparecchiature informatiche e di telecomunicazione a carico dell'azienda;
- individuazione di una fascia oraria giornaliera di collegamento con l'ufficio;
- determinazione di un compenso addizionale forfetario per il disagio domestico;
- individuazione di forme di presenza periodica in azienda, per contatti e scambi con i colleghi;
- riconoscimento dei diritti sindacali e del diritto di partecipare alle riunioni che si svolgono nei locali aziendali;
- possibilità per i sindacati di inviare le proprie comunicazioni attraverso gli stessi supporti telematici ed informatici. In particolare, rileva l'attenzione posta alle esigenze di collegamento con la realtà aziendale e con le organizzazioni sindacali, al fine di evitare situazioni di isolamento del telelavoratore" (Cassano e Lopatriello, infra, 1999, 41).
Un'altra caratteristica comune a quasi tutti gli accordi in questione è la connotazione giuridica del rapporto di lavoro che resta quella tradizionale del lavoro subordinato. L'unico accordo che ha modificato lo status giuridico del telelavoratore, inquadrandolo nell'ambito della legge sul lavoro a domicilio, è quello siglato dalla Dun & Bradstreeet Kosmos.

3. La tutela dei diritti della personalità del telelavoratore alla luce del d.p.r. 8 marzo 1999 n.70. Il decreto n. 70/1999 si inserisce in questo variegato panorama definendo "telelavoro" la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce.
"Costituisce dato di comune esperienza che l'innovazione tecnologica (ed in particolare quella connessa all'introduzione dei sistemi c.d ICT, correlati cioè alle Information and Communications Thecnologies) rappresenta, e non da poco tempo, una sorta di "oscuro oggetto del desiderio" delle e nelle pubbliche amministrazioni, espressione attuale ed attualizzata di "classico scontro tra malati di tecnofobia e malati di tecnofilia" ovvero, più ancora, tra "ottuso conformismo" ed "euforico trionfalismo"" (Viscomi, infra, 1999, 1062).
Come è facile intuire tutte le amministrazioni pubbliche hanno la possibilità di avvalersi del telelavoro senza esserne obbligate: l'utilizzo del telelavoro, o meglio, il progetto che preveda l'utilizzo del telelavoro verrà adottato dalla singola amministrazione nel caso in cui ne venga giudicata l'opportunità in relazione alle proprie esigenza ed alla propria organizzazione, Si consideri in particolar modo che il ricorso al telelavoro non possa comportare oneri aggiuntivi per la pubblica amministrazione come d'altro canto la prestazione lavorativa a distanza avviene a parità di salario, non apparendo possibili trattamenti in melius o in peius per il telelavoratore.
La flessibilità del telelavoro sarà garantita, inoltre, dal progetto generale dell'amministrazione che dovrà definire la durata, le metodologie e le risorse finanziarie. Tale progetto sarà approvato dal dirigente o dal responsabile d'ufficio o servizio nel cui ambito si intendono avviare forme di telelavoro, d'intesa con il responsabile dei sistemi informativi ove presente.
Nodo gordiano del D.p.r. in esame sarà certamente il profilo della tutela della salute e della riservatezza del dipendente, al di là dei risultati dell'azione amministrativa in termini di efficienza ed efficacia attraverso l'utilizzo del telelavoro. Non deve essere dimenticato, infatti che il D.p.r. 70/1999 afferma che l'amministrazione assegna il dipendente al telelavoro sulla base di criteri previsti dalla contrattazione collettiva, che, fra l'altro, dovranno valorizzare i benefici sociali e personali del telelavoro. La norma, in particolare, non solo tutela il dipendente da eventuali effetti negati del telelavoro, ma ha una valenza più ampia perché preferisce assegnarlo a quei dipendenti che ne traggano una utilità sia in termini personali che sociali. E' previsto, inoltre, che nel caso in cui la teleprestazione sia svolta nel domicilio del dipendente che sia preventivamente verificato la conformità alle norme generali di prevenzione e sicurezza della utenze domestiche.
Ma su questo aspetto è certamente opportuno svolgere ulteriori considerazioni.
La tutela del diritto alla salute e alla sicurezza del lavoratore nei luoghi di lavoro ha il suo fondamento nella Costituzione, ed in particolare nell'art. 32, primo comma, che considera la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e nell'art. 41, secondo comma, che contempera la libertà di iniziativa economica con la tutela della sicurezza, libertà e dignità umana. A livello di legislazione ordinaria, essa è garantita innanzitutto dall'art. 2087 del codice civile, che obbliga l'imprenditore ad attuare tutte le misure di sicurezza obiettivamente necessarie in relazione alle caratteristiche delle lavorazioni e all'ambiente in cui il lavoro si svolge, al fine di garantire l'integrità, sia fisica che morale del lavoratore. All'obbligo imposto all'imprenditore dall'art. 2087 cc., corrisponde il relativo diritto dei lavoratori di controllare l'applicazione sul luogo di lavoro delle norme di prevenzione ed igiene, nonché di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di quelle che ritengono più idonee a migliorare le condizioni dell'ambiente di lavoro. Il suddetto diritto, attribuito dall'art. 9 della L. n. 300/1970, deve essere esercitato per mezzo delle rappresentanze sindacali dei lavoratori.
"Da ultimo, la salute del lavoratore ha trovato una rete di protezione in una dettagliata normativa contenuta nel D.Lgs. n. 626 del 19 settembre 1994, recante norme in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, sostituito ed integrato dal D.Lgs. n. 242 del 19 marzo 1996. Quest'ultimo ha profondamente modificato il quadro giuridico della materia dell'igiene e della sicurezza del lavoro, non solo perché ha individuato nuove misure di sicurezza da adottare in relazione a specifiche situazioni o lavorazioni, ma anche, e soprattutto, perché ha previsto una serie di diritti ed obblighi generali, che visti nel loro complesso, consentono di affrontare le problematiche della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in modo differente da come avveniva in passato e perché assegnano un ruolo diverso (di partecipazione, collaborazione, assistenza e controllo) agli altri operatori della materia, lavoratori e loro rappresentanti, organi di vigilanza" (Cassano e Lopatriello, infra, 1998, 438).
Per ciò che riguarda più specificamente il D.Lgs. n. 626/1994, la dottrina ritiene che la disciplina ivi dettata, benché sia destinata al lavoro interno all'impresa, possa essere applicata, sia pure con adeguati adattamenti, al telelavoro (Giugni, infra, 1995, 48). In ogni caso, dovrebbe essere valutata l'opportunità di interventi contrattuali volti a specificare quali dei diritti del D.Lgs. 626/1994 siano applicabili nei confronti dei telelavoratori.
A questi ultimi si applica in toto la normativa contenuta nel Titolo VI, recante norme sull'uso di apparecchiature munite di videoterminale, come modificato dal D.Lgs. n. 242/1996. La postazione di lavoro domiciliare del telelavoratore rientra, infatti, nella definizione di cui all'art. 51, lettera b) di "posto di lavoro" che lo individua in quell'insieme che comprende le attrezzature munite di "videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, ovvero software per l'interfaccia uomo-macchina". E' indubbio, inoltre, che i telelavoratori rientrino nella categoria dei lavoratori destinatari della tutela in commento. Il predetto art. 51 lettera c) individua il campo soggettivo di applicazione di tutto il Titolo VI, definendo il "lavoratore" come colui che "utilizza una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico ed abituale, per almeno quattro ore consecutive giornaliere, dedotte le interruzioni di cui all'art. 54, per tutta la settimana lavorativa". A ben guardare, applicando rigorosamente il criterio individuato nel testo riportato, il numero dei lavoratori ai quali è obbligatorio applicare la normativa in materia di videoterminali, si riduce drasticamente, poiché è necessario che ricorrano i requisiti di sistematicità, abitualità e consecutività anzidetti.
Merita, inoltre, considerare che la definizione di cui all'art. 51 lettera c) non ha nessun riscontro nella letteratura scientifica mondiale (che parla di ore giornaliere) e contrasta con la norma comunitaria che definisce lavoratore
"qualunque lavoratore che utilizzi regolarmente durante un periodo significativo del suo lavoro normale, un'attrezzatura munita di videoterminale" (Direttiva CEE 90/270, art. 32, lettera c).
Sul punto si è espressa la sezione V della Corte di giustizia europea con la sentenza del 12 dicembre 1996, la quale ha evidenziato che non è escluso che il lavoratore utilizzi un videoterminale tutti i giorni della settimana lavorativa, ma non tutti i giorni per quattro ore consecutive, oppure che il lavoratore possa raggiungere almeno quattro ore consecutive tutti i giorni della settimana lavorativa tranne uno. La Corte ha così concluso che gli obblighi di tutela e prevenzione sanciti dagli artt. 4 e 5 della Direttiva 90/270
"devono essere interpretati nel senso che sono applicabili a tutti i posti di lavoro con videoterminali, anche se non sono occupati da lavoratori e che tutti i posti di lavoro devono essere adeguati a tutte le prescrizioni minime contenute nell'allegato VII alla 626/94" (Corte di giustizia europea, sez. V, 12.12.1996, RCDL, 1997, 401).
La pronuncia della Corte ha risolto questioni interpretative pregiudiziali, inerenti norme della Direttiva CEE sui videoterminali attuata in Italia con il D.Lgs. n. 626/1994. Ciò significa che la sentenza stessa non ha alcuna efficacia diretta nei confronti dello Stato italiano, mentre certamente si pone come autorevole canone interpretativo nei confronti dell'autorità giudiziaria nazionale e sollecita un intervento del legislatore sulla questione. Il D.p.r. 70/1999 demanda all'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione la fissazione delle regole tecniche concernenti la tutela della sicurezza dei dati ed alla contrattazione collettiva la garanzia di una adeguata tutela della salute e della sicurezza del lavoro.
Discorso in parte diverso deve farsi per quanto attiene alla tutela del diritto alla salute nel lavoro a domicilio che è garantita da un sistema complesso di norme, di cui fa parte innanzitutto l'art. 2, 1 comma, legge n. 877/1973, che, con un divieto generale e diretto esclude la lavorazione a domicilio per attività le quali comportino l'impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l'incolumità del lavoratore e dei suoi familiari. All'obbligo negativo di cui all'articolo citato si aggiunge quello contenuto negli artt. 2087 del codice civile e 9 dello Statuto. Per ciò che concerne, invece, il D.Lgs. n. 626/1994, la normativa ivi contenuta si applica, ai sensi del terzo comma dell'art. 1, nei riguardi dei lavoratori a domicilio di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877 limitatamente ai casi espressamente previsti. Il primo riferimento esplicito ai lavoratori in questione è nell'art. 21, secondo comma. Esso impone al datore di lavoro l'obbligo di provvedere affinché ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione su: "i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale; le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate; i rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia". L'ultimo riferimento ai lavoratori a domicilio è contenuto nell'art. 22 dove è statuito che il "datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore (compresi i lavoratori di cui trattasi) riceva una formazione adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni".
Il D.p.r. in commento demanda alla contrattazione collettiva la definizione delle modalità per l'accesso al domicilio del dipendente addetto al telelavoro dei soggetti aventi competenza in materia di salute, sicurezza e manutenzione. Resta fermo che la teleprestazione "a domicilio" potrà effettuarsi a condizione che sia ivi disponibile un ambiente di lavoro di cui l'amministrazione abbia preventivamente verificato la conformità alle norme generali di prevenzione e sicurezza delle utenze domestiche.
Meno chiare si presentano le norme del D.p.r. 70/1999 in merito alla riservatezza del telelavoratore limitandosi ad indicare che l'amministrazione garantisce adeguati livelli di sicurezza delle comunicazioni fra la postazione di telelavoro e il proprio sistema informativo.
Il telelavoratore, infatti, potrebbe essere collegato interattivamente e continuativamente, consentendo ciò di esercitare le funzioni di direzione e di controllo in tempo reale e in qualsiasi momento nel corso dello svolgimento dell'attività lavorativa, proprio come avviene per i lavoratori che operano all'interno dei locali aziendali; con la differenza che, nel telelavoro, tali funzioni vengono esercitate per via telematica.
Si pone a questo punto il problema della violabilità dell'art. 4 della legge 20 maggio 1970 n. 300, che vieta l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Nell'art. 4 della legge n. 300 del 1970 non è indicato espressamente il bene tutelato dalla norma. Esso, tuttavia, è chiaramente individuabile nella dignità della persona del lavoratore e, in particolare, nel diritto del lavoratore alla riservatezza nel luogo di lavoro (la norma è collocata sotto il Titolo I relativo alle norme a tutela della libertà e dignità del lavoratore).
"La tutela risulta particolarmente forte perché la trasgressione al divieto è punita penalmente ex art. 38 dello Statuto.
Il potere di direzione dell'imprenditore dunque non può arrivare fino a controllare, sempre in ogni istante, l'operato dei suoi dipendenti, e deve trovare un limite nel rispetto della dignità dei lavoratori e della loro riservatezza" (Frontoni, infra, 1998, 588).
Occorre specificare che il legislatore del 1970 non ha inteso vietare il controllo del datore di lavoro sull'operato del lavoratore. Questo potere è legittimo in quanto contrattualmente previsto e costituisce una logica implicazione del potere direttivo. Ciò che si è inteso vietare attraverso l'art. 4 è, invece, l'abuso di tale potere, ovvero, il controllo ad libitum che non sia strettamente necessario ai fini della produzione e della sicurezza sul lavoro, in modo da tutelare il lavoratore da un potere di vigilanza pedantesco e, come tale, lesivo della dignità umana. Gli elementi costitutivi la fattispecie di illecito sono: gli "impianti audiovisivi" ed "altre apparecchiature" e la loro utilizzazione per il controllo a distanza dei lavoratori. Riguardo al primo elemento, mentre è chiaro il significato dell'espressione "impianti audiovisivi", esistono, invece, incertezze sul significato della locuzione "altre apparecchiature". Generalmente si ritiene che con essa ci si riferisca a qualsiasi mezzo idoneo a riprodurre a distanza l'attività del lavoratore prescindendo da una riproduzione visiva di quest'ultima. Per quanto concerne il secondo elemento, la norma è stata oggetto di una vasta analisi esegetica, stante anche la necessità di chiarirne puntualmente la portata, visto che essa è penalmente sanzionata. In particolare, occorre chiedersi se il divieto di cui all'art. 4 della legge citata riguardi solo l'attività di lavoro in senso stretto o, più genericamente, l'attività lavorativa. La dottrina (Pisani, infra, 1987, 135) e la giurisprudenza (Cass. pen. 8 ottobre 1985, NGL, 1986, 155 e Trib. Milano, 29 settembre 1990, NGL, 1990, 805. Contra Pret. Milano, 12 luglio 1988, NGL, 1989, 23 e Pret. Napoli decr., 15 marzo 1990, NGL, 1990, 226) ritengono che rientri nell'ambito del divieto anche quest'ultima, ovvero, tutti quei comportamenti ininfluenti ex se ai fini dell'esecuzione della prestazione di lavoro (le cosiddette licenze comportamentali) che non consentono di distinguere il soggetto in funzione di prestatore di lavoro dal soggetto considerato come persona. Per quanto riguarda la nozione di distanza, essa è stata oggetto di elaborazione giurisprudenziale che ha riferito il divieto in esame non solo al controllo spaziale, proprio della formulazione originaria della norma, ma anche al cosiddetto controllo temporale, ossia a quel controllo realizzabile attraverso le memorie elettroniche. Peraltro non è necessario che si verifichi un controllo continuo, "essendo sufficiente la semplice possibilità di un controllo attuabile dalla direzione aziendale in qualsiasi momento, senza la conoscenza del personale controllato" (Pret. Milano 26.1.1979, RGL, 1978, IV, 96).
Una parte della dottrina (Pera, infra, 1989, 8) ha ritenuto che il divieto di cui all'art. 4 della legge in esame sia totalmente inapplicabile allorquando vengano impiegate, per il controllo a distanza, le tecnologie informatiche e telematiche, argomentando dal divieto di analogia in materia penale. Si deve ritenere, al contrario, che il generico riferimento alle "altre apparecchiature" di cui al primo comma dell'articolo citato comprenda anche l'impiego di siffatti strumenti, la cui diffusione non poteva certo essere prevista dal legislatore del 1970, in quanto la finalità della norma è quella di considerare vessatorio ogni controllo a distanza, in qualsiasi forma attuato. A questo punto, bisogna verificare se nella fattispecie del telelavoro, il controllo esercitato per mezzo dei sistemi informatici e telematici debba essere considerato intenzionale e, come tale, assolutamente vietato, o preterintenzionale e, dunque, lecito purché circondato dalle garanzie di cui al secondo comma dell'art. 4. E' importante notare come nel telelavoro, in quanto forma di esecuzione a distanza dell'attività lavorativa, il controllo sull'operato del lavoratore, rientrante nel suo legittimo potere dispositivo, non può che essere esercitato nella forma suindicata. Pertanto, il controllo effettuato a distanza deve essere considerato funzionale allo svolgimento del rapporto e richiesto da precise esigenze organizzative. E' opportuno ricordare, inoltre, che nel telelavoro, il potere di controllo è intrinseco nella stessa attività lavorativa, in quanto inserito nello stesso software utilizzato dal lavoratore per l'espletamento della prestazione. Il D.p.r. in esame in verità fornisce in merito poche indicazioni limitandosi ad indicare che sulla base di una specifica analisi dei rischi, l'amministrazione garantisce adeguati livelli di sicurezza delle comunicazioni tra la postazione di telelavoro ed il proprio sistema informativo. La norma più che garantire la riservatezza del lavoratore sembra fare riferimento alla non alterazione e alla segretezza dei dati.
Non si condivide, infine, la tesi in base alla quale gli strumenti informatici e telematici, per il solo fatto di essere macchine direttamente produttive o, comunque, introdotte per soddisfare precise esigenze organizzative, giustifichino sempre anche le funzioni di controllo che ad esse ineriscono, rendendo così i controlli stessi, ipso iure, di carattere preterintenzionale. "Il controllo esercitato attraverso tali strumenti, infatti, anche se diretto al momento solutorio del rapporto, può essere particolarmente penetrante e subdolo, poiché il computer è in grado di controllare il lavoratore ad ogni passo della sua attività, registrando il numero di operazioni compiute, di errori commessi, le soste effettuate, il tempo impiegato per compiere le diverse operazioni. Inoltre, il datore di lavoro ha la possibilità di inserirsi nella linea telematica utilizzata dal lavoratore per effettuare controlli occulti, non dettati da esigenze organizzative e produttive e lesivi della riservatezza del lavoratore. E' necessario, dunque, che l'analisi della legittimità dei controlli continui ad essere fatta caso per caso, sia pure in modo più adeguato alla nuova realtà, senza ricorrere a valutazioni globali per fattispecie" (Rosselli, infra, 1983, 473).
In sostanza, occorrerà considerare non già le potenzialità dello strumento informatico nel suo complesso, ma le funzioni che i singoli programmi sono in grado di svolgere. Nel telelavoro, però, ed in particolare nel telelavoro on line, non è sempre agevole distinguere il controllo lesivo della dignità e riservatezza del lavoratore, vietato, dal controllo tecnico sull'adempimento della prestazione, ammesso; a meno che la linea telematica, della quale si avvale il telelavoratore, non venga protetta da possibili intrusioni. Negli accordi citati, questo aspetto non è stato garantito; infatti, le funzioni gerarchiche, tra le quali rientra quella di controllo, sono esercitate avvalendosi della stessa linea telematica utilizzata dal telelavoratore per espletare l'attività lavorativa. Né può valere a sanare la illegittimità della forma di controllo indicata, la circostanza che le parti sociali abbiano ritenuta soddisfatta la condizione di cui all'articolo 4, secondo comma, della legge n. 300 del 1970, in quanto, trattandosi di una norma di legge inderogabile, la contrattazione collettiva non può disporne in peius. Per la stessa ragione è irrilevante che il telelavoratore sia a conoscenza dei controlli suddetti e delle forme in cui essi vengono esercitati, consapevolezza che si evince dalla libera adesione dei lavoratori alle sperimentazioni di telelavoro.

4. Il danno esistenziale. Attesa in linea di massima la bontà di questa nuova tipologia di lavoro, le difficoltà dell'interprete certamente si incentreranno sulla tipologia dei danni prospettabili a seguito della violazione delle riferite norme.
Come è noto il rapporto di lavoro è stato sempre caratterizzato da un alto rischio di pregiudizio per i valori e i beni collegati alla persona e in questa riflessi.
"Ed invero, il rapporto di lavoro è caratterizzato, per sua natura e a differenza della generalità degli altri rapporti interprivati, dalla implicazione della persona del lavoratore debitore nel rapporto, nel senso che il rapporto e la sua esecuzione, prima e ancor più che all'avere, attengono all'essere del lavoratore medesimo, perché l'attività lavorativa, come attività d'adempimento, non sembra scindibile dalla persona e la persona ne risulta direttamente coinvolta" (Cester 2000, 493).
In relazione al telelavoro, vi è da aggiungere a ciò la possibilità offerta dall'elaboratore elettronico, per mezzo del quale viene adempiuta la specifica modalità operativa, di poter di continuo verificare i movimenti del lavoratore stesso, con violazione della riservatezza e della dignità di quest'ultimo.
Particolarmente utile, allora, deve qualificarsi la categoria del danno esistenziale, quale strumento di tutela della persona che tiene conto, a seguito delle mutazioni del diritto del lavoro, della limitatezza delle tecniche tradizionali di tutela.
In questo senso, inoltre, non deve essere disconosciuta l'importanza rivestita dal danno alla salute che, non mutilato della sua componente psichica, ed inteso in maniera unitaria, ha costituito un tratto peculiare per la riparazione dei danni alla persona nella specifica disciplina del diritto del lavoro.
Sovente, però, proprio la mancanza della prova della lesione del bene-salute ha portato al non ristoro del lavoratore danneggiato. Si suole leggere in alcuni pronunciati:
"(...) non ha provato l'esistenza di un aggravamento psico-fisico dello stato di salute e del nesso di causalità fra il comportamento datoriale e tale aggravamento, (...) solo i turbamenti e i malesseri che si trasformino in uno stato patologico possono dar luogo al risarcimento" (Pret. Milano 15.04.1998, RCDL, 1998, 174).
Se si esclude, inoltre, la risarcibilità del danno alla salute, bisogna tenere conto di un altro dato che proviene dall'analisi del sistema codicistico, rappresentato dal fatto che l'azionabilità del rimedio risarcitorio trova un gravissimo limite normativo quando l'interesse da risarcire sia non patrimoniale, poiché all'art. 2059 c.c. si richiede che in questo caso la possibilità di ricorrere alla tutela risarcitoria risulti da una apposita previsione di legge. Di fatto, in questo modo ai fini della tutela civile dell'interesse non patrimoniale è necessario che il comportamento lesivo abbia integrato anche gli estremi di un illecito penale, poiché la norma di legge richiesta dall'art. 2059 c.c. idonea a fondare specificamente la pretesa risarcitoria va ravvisata nell'art.185 c.p.. Se si tiene conto del fatto che interessi non patrimoniali sono essenzialmente quelli attinenti alla persona, emerge allora con chiarezza che questa sorta di doppio binario del sistema risarcitorio si traduce in una grave limitazione alla tutela civilistica - attuata sia pure attraverso l'inadeguato strumento risarcitorio - dei diritti fondamentali della persona.
Come visto, però, alcune norme prevedono a fronte di alcuni comportamenti del datore particolarmente gravi, l'ausilio della sanzione penale.
In questo caso non osterebbe il limite dettato dall'art. 2059 c.c.
"Così operando, tuttavia, si finisce col porre in sottordine la sussistenza di norme specifiche come l'art. 2103 c.c., si ignorano o quanto meno non si utilizzano appieno quelle ricostruzioni teoriche volte a segnalare come il danno morale, in ambito contrattuale, non subirebbe i limiti dell'art. 2059 c.c. e, inoltre, si trascurano ulteriormente le potenzialità del riferimento alla personalità morale del prestatore d'opera contenuto nell'art. 2087 c.c., la cui natura di elastica clausola generale è stata sottolineata dalla Consulta" (Poletti 2000, 477).
Si potrebbe, quindi, più adeguatamente valorizzare, anche, a questi fini, il significato dell'art. 2087 c.c., che, imponendo all'imprenditore di salvaguardare la personalità morale del lavoratore, mostra di voler tenere indenne quest'ultimo da pregiudizi non definibili come patrimoniali. Tale via, però, implica non necessariamente le stravaganti applicazioni della categoria del danno alla salute, anche per tipologie di lesioni che nulla hanno a che vedere con tale bene.
A questo punto, allora, sarebbe auspicabile fare un ulteriore passo in avanti, uscendo dalle dicotomie proposte, per parlare in maniera più sicura, in relazione alla violazione della dignità e della riservatezza del telelavoratore, di danno esistenziale.
Si potrebbe, però, dubitare dell'utilità della categoria del danno esistenziale in relazione a tali lesioni, attesa la presenza della sanzione penale, ritenendo che in tale materia, non ci sia la ragione pratica della nuova categoria.
Un tale dubbio risulta infondato. Non solo deve essere ricordato che il divieto di analogia in materia penale, potrebbe limitare il risarcimento dello stesso danno morale, quanto che la violazioni delle regole poste a tutela del telelavoratore, pur non integrando nessuna fattispecie di reato e non minando la salute del telelavoratore, possano violare i suoi diritti della personalità, quali, attraverso la particolare presenza di supporti informatici, la dignità e la riservatezza.
"Questo percorso, per sua natura, ha anche una sua dimensione qualitativa: non si potrà dubitare che uno strumento ordinatore come la categoria del danno esistenziale potrebbe pesare non poco, per esempio, nella distinzione delle diverse poste risarcitorie, permettendo di distinguere tra il danno morale e il danno, appunto, esistenziale" (Clemente 2000, 321).
Volendo concludere è opportuno precisare che sembra prospettabile che l'applicazione della disciplina sul telelavoro in maniera non corretta potrà comportare da un lato, come visto, il continuo controllo da parte del datore di lavoro sul telelavoratore, con violazione della dignità e della riservatezza, dall'altro, l'isolamento del telelavoratore dal resto dell'azienda, concorrendo, ciò, ad aumentare il senso di alienazione, con perdita dei contatti sia umani che professionali ed incidendo in termini di un "colloquialismo differente con le persone e con le cose", di un "interfacciamento" meno ricco (Cendon, infra, 1998, 137), effetti altamente probabili nelle eventualità prospettate.


Nota bibliografica.
Si rimanda a Battista L., Telelavoro: quale subordinazione? Riflessioni minime sul potere di controllo, in Giust. Civ., 1998, II, 555; Cassano G. e Lopatriello S., Il telelavoro: profili giuridici e sociologici, in Dir. inf. e inf., 1998, 379; Id., Il Telelavoro: aspetti giuridici e sociologici, Edizioni giuridiche Simone, 1999; Cassano G. e Polidoro P., Aspetti e problemi sociali del telelavoro, in Sociologia, fasc. 2-3, 1998, 167; Cendon P., Non di sola salute vive l'uomo, in Studi in onore di Pietro Rescigno. Responsabilità civile e tutela dei diritti, V, Giuffré, 1998, 137-152 (anche in RCDP, 567-581), ed ora in Cendon P. e Ziviz P. (a cura di), Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffré, 2000, 5-22; Cendon P. e Ziviz P. (a cura di), Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffré, 2000; Cester C., Rapporto di lavoro, danno esistenziale e licenziamento, in Cendon P. e Ziviz P. (a cura di), Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffré, 2000; Clemente A., La lesione della riservatezza, in Cendon P. e Ziviz P. (a cura di), Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffré, 2000; Di Martino V., Telelavoro, in Economia e Lav., 1982, fasc. 4, 105; Frontoni E., Il rapporto di lavoro, in Clemente A. (a cura di), Privacy, Cedam, 1999, 587; Gaeta L., Lavoro a distanza e subordinazione, Esi, 1993; Gaeta L., Pascucci P. (a cura di), Il telelavoro nelle p.a., Il Sole 24Ore, Giuffré, 1999; Giugni G., E' necessario subito un altro telestatuto, in Télema, 1995, (n. di autunno), 48; Pera G., Innovazioni tecnologiche e Statuto dei lavoratori, in Quaderni Riv. It. Dir. Lav., 1989, 8; Id., Nuovi contributi sul telelavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 1998, III, 270; Pisani C., I controlli a distanza sui lavoratori, in Giorn. Dir. Lav. e Rel. Ind., 1987, 135; Pizzi P., "Telelavoro": prime esperienze applicative nella contrattazione collettiva italiana, in Dir. Lav.,1996, I, 156; Id., Brevi considerazioni sulla qualificazione giuridica del telelavoro, in Riv. Giur. Lav., 1997, I, 219; Poletti D., Il danno psichico del lavoratore, in Cendon P. e Ziviz P. (a cura di), Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffré, 2000; Rosselli, Art 4 dello Statuto dei lavoratori e sistemi informatici, in Dir. Lav., 1983, I, 473; Sani J., Il telelavoro, in Riv. Critica Dir. Lav., 1997, 29; Viscomi A., Il telelavoro nelle p.a. (d.P.R. 8 marzo 1999 n. 70), in Studium iuris, 1999, 1062.

 

 

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