di Valentina Frediani
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(articolo già pubblicato sulla Rivista Punto informatico del 15 febbraio 2002)
L’internet provider è una figura professionale essenziale per chi interagisce con internet per passione o lavoro.
I providers possono distinguersi tra network provider – colui che munisce l’infrastruttura tecnologica permettendo la trasmissione del segnale -, hosting service provider – colui che mette a disposizione degli utenti uno spazio del server affinché gli stessi possano disporre del loro spazio sull’web, disponibile in rete ed accessibile sempre da chiunque – e access provider – colui che consente l’accesso alla rete -.
Queste figure si pongono come intermediarie tra l’informazione, la notizia posta in rete, ed il destinatario (internauta), potendo spesso sorgere a loro carico responsabilità di vario genere nei confronti di soggetti terzi.
Tali responsabilità possono essere di tipo penale (condotte illecite poste in essere dal provider, per cui diviene titolare di un procedimento penale che può sfociare sia in reclusione che in sanzioni pecuniarie) e/o di tipo civile (risarcimento dei danni provocati mediante la condotta posta in essere).
L’attuale legislazione nazionale manca di una normativa speciale in materia, applicandosi in via analogica la normativa esistente.
Mentre, a livello europeo, la Comunità ha emanato la Direttiva 2000/31/CE con la quale, disciplinando il commercio elettronico, ha definito anche la responsabilità dei prestatori intermediari.
Infatti, all’art. 12 la Direttiva dispone che nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse, a condizione che egli non dia origine alla trasmissione (sarebbe quindi responsabile non tanto quanto provider quanto agente in prima persona), non selezioni il destinatario della trasmissione (selezionando il destinatario, il provider si rende partecipe ed attivo sulla trasmissione dell’informazione) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse (agendo sulle informazioni, diviene ancora una volta agente diretto).
All’articolo successivo, si dispensa il provider da qualsiasi responsabilità in merito alla memorizzazione automatica, intermedia e temporanea delle informazioni che l’utente trasmette dalla rete, a condizione però che non intervenga per modificarle, si conformi alle condizioni di accesso delle informazioni, si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego di informazioni e agisca prontamente per rimuovere informazioni che ha memorizzato o per disabilitare l’accesso non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o disabilitazione all’acceso.
L’aspetto più interessante della normativa sta nella disposizione di cui all’art. 15, inerente l’assenza dell’obbligo generale di sorveglianza dei providers sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite, salvo la discrezionalità di ciascun Stato Membro, di determinare l’obbligo o meno dei prestatori di servizi ad informare senza indugio l’autorità competente, di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi.
Ma quali casi concreti possono porre dubbi sulla responsabilità o meno di un provider? Facciamo alcuni esempi dei casi più ricorrenti.
Ad oggi un reato “diffuso” on line è la violazione del diritto d’autore, che avviene spesso o mediante riproduzione di immagini coperte da royalty (diritto di colui che ne è l’ideatore) o mediante trasmissione di software pirata. Può considerarsi responsabile un provider per atti del genere compiuti da un proprio abbonato?
Gran parte delle sentenze dei giudici italiani intervenuti sulla questione, ha stabilito che il server provider che si limiti a concedere accesso alla rete, o lo spazio del proprio server per la pubblicazione di servizi informativi realizzati dall’abbonato, non può ritenersi responsabile della violazione del diritto d’autore che quest’ultimo ponga in essere.
Questo per il principio basilare al nostro ordinamento, secondo cui la responsabilità penale è personale.
Infatti la violazione del diritto d’autore genera anche responsabilità penale, con pene molto severe che possono condurre anche alla reclusione; ciò però è ravvisabile solo quando nel provider si possano individuare un dolo (coscienza e volontà di determinare il fatto illecito) o una colpa (mancanza di vigilanza, ad esempio, o imperizia o imprudenza nella gestione del fatto).
Quindi un provider potrà ritenersi responsabile dei fatti di cui sopra, solo quando a conoscenza dell’illiceità del fatto posto in essere, si sottragga al dovere di segnalarlo all’autorità o di interromperne comunque la trasmissione. Chiaramente, un provider che contribuisca alla commercializzazione di software che ben sa illegale, non potrà certo non ritenersi colpevole, in quanto ha contribuito in maniera diretta al fatto illecito.
Altro fatto che può ricorrere spesso, concerne l’attività denigratoria attuata da un utente legato da un contratto ad un internet provider.
In tal caso, i giudici sino ad oggi intervenuti a pronunciarsi, hanno emesso sentenze tra loro molto contraddittorie.
Ad esempio nel 1997 il Tribunale di Teramo escludeva la responsabilità civile dell’internet provider in base ad una clausola inserita nel contratto concluso tra quest’ultimo e l’utente, secondo cui l’utente doveva tenere una determinata diligenza ed una condotta tali da non generare illiceità. Nel 1998 invece, la Pretura di Vicenza emanava un provvedimento di sequestro preventivo di tutte le attrezzature dell’internet provider utilizzate per diffondere su un sito web dei messaggi, in quanto un privato aveva diffuso un messaggio diffamatorio. Provvedimento molto criticato e ritenuto sostanzialmente abnorme, cioè sproporzionato negli effetti rispetto alle esigenze reali e cautelative di soppressione del messaggio diffamatorio.
Volendo esprimere un giudizio alla luce di conoscenze tecniche, è palese come non possa ritenersi responsabile un internet provider per episodi sui quali non può operare vigilanza e controllo preventivi.
Ad esempio in un newsgroup non moderato, come può intervenire su messaggi denigratori o diffamatori? Il Tribunale di Roma nel 1998 ha escluso in maniera tassativa l’esistenza di una responsabilità oggettiva del provider per i messaggi che circolano sul suo server. E questo anche perché vige la garanzia costituzionale fornitaci dall’art. 15, secondo cui la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. Il provider non può quindi intervenire a vigilare e controllare il contenuto di e-mail o messaggi di vario genere. La violazione sarebbe addirittura costituzionale!!!
Altra materia delicata ma di ampia diffusione, è la problematica legata alla pornografia minorile.
Nel nostro Paese la legge n. 269/98 punisce in maniera esemplare anche chi distribuisce o pubblicizza materiale pornografico per via telematica.
Sul provider in tal senso (salvo che abbia contribuito attivamente alle condotte suddette per cui chiaramente è responsabile in prima persona del reato) può gravare un reato omissivo, ovvero una condotta punibile perché lo stesso non ha impedito la divulgazione o pubblicizzazione del materiale pornografico. Ma questa interpretazione conferisce ancora una volta al provider un ruolo di garante eccessivo rispetto alle potenzialità effettive di controllo. Parte della dottrina ha anche paragonato il provider al direttore del giornale, attribuendogli una responsabilità di “controllore” su ciò che viene “pubblicato” in rete. Ma nessuna normativa indica questo in maniera espressa, e l’interpretazione lascia abbastanza perplessi.
Certo, può concretizzarsi anche una condotta permissiva da parte del provider, sulla quale qualche dubbio in merito alla sua responsabilità può sorgere.
In Italia le pronunce scarseggiano, ma un esempio ci viene dalla vicina Svizzera, dove un internet provider è stato ritenuto penalmente punibile per non aver rimosso materiale pornografico da un sito di un proprio cliente dopo la segnalazione e l’avvertimento da parte delle autorità, dell’esistenza sul sito di tale materiale. Ma effettivamente in questo senso la condotta di questo internet provider è stata coscientemente “omissiva” di controllo.
Come abbiamo constatato, gli aspetti legali concernenti le responsabilità derivanti all’internet provider da illiceità dei propri abbonati, sono di vario genere e la “confusione” giurisprudenziale contribuisce a creare incertezza in merito alle condotte da adottare onde evitare spiacevoli conseguenze giuridiche.
Si può però concludere che la responsabilità del provider di certo sussiste quando lo stesso abbia contribuito a formare il contenuto illecito del sito, rispondendo sia penalmente che civilmente della condotta adottata. Nel caso in cui non abbia contribuito ma sia venuto a conoscenza dei contenuti illeciti, ritengo debba provvedere all’eliminazione dei contenuti (mediante forme di cancellazione o oscuramento degli stessi) ed alla segnalazione all’autorità competente.
Infine, nell’ipotesi in cui non abbia in alcun modo operato affinché l’illecito si realizzasse, sostengo che si possa escludere una qualsiasi responsabilità penale, potendo al limite configurarsi una responsabilità di tipo civile verso terzi, per aver cagionato in modo doloso o anche solo colposo un danno ingiusto, ma in tal caso è onere di colui che si ritiene leso dimostrare non solo l’ingiusto danno subito, ma anche la oggettiva responsabilità del provider.
Dott.ssa Valentina Frediani
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