Il diritto di accesso ai documenti nel caso Interporc.
I fatti
Il 26 gennaio 1996, la Commissione adottava una decisione nei confronti della Repubblica federale di Germania con la quale riteneva ingiustificata la domanda di sgravio dei dazi all'importazione di carne bovina dall'Argentina presentata dalla ditta Interporc Im und Export GmbH. (1)
Il 23 febbraio seguente, la ditta Interporc, scriveva al Segretario generale della Commissione nonché ai Direttori generali delle Direzioni generali I, VI e XXI, chiedendo di avere accesso a dieci diverse categorie di documenti relativi al controllo delle importazioni di carne bovina (c. d. "Hilton Beef") e alle indagini che avevano portato alle decisioni delle autorità tedesche di procedere al recupero dei dazi all'importazione. In particolare, i documenti includevano: a) i documenti interni alla Commissione, quali le relazioni sulle indagini esperite e i pareri formulati dalle Dg VI e XXI; b) i documenti relativi all'apertura di tale contingente, alla designazione degli organismi responsabili per l'emissione dei certificati di autenticità nonché i documenti relativi alla convenzione conclusa tra la Comunità e l'Argentina; c) le dichiarazioni degli Stati membri e delle autorità argentine relative ai quantitativi di carne bovina "Hilton" importati dall'Argentina tra il 1985 e il 1992 nonché i verbali delle riunioni del gruppo dei periti degli Stati membri. (2)
Il Direttore generale della Dg VI, però, respingeva la domanda di accesso alla seconda categoria di documenti, facendo valere l'eccezione relativa alla tutela dell'interesse pubblico (relazioni internazionali) e alla terza categoria di documenti, in quanto provenienti dagli Stati membri o dalle autorità argentine. In quest'ultimo caso, la ditta Interporc, in conformità a quanto previsto dalla decisione 94/90 attuativa del codice di condotta sull'accesso del pubblico ai documenti della Commissione (3), avrebbe dovuto indirizzare la sua richiesta direttamente all'autore dei documenti in oggetto. Entrambe le eccezioni addotte dal Direttore generale della Dg VI erano espressamente indicate nella decisione 94/90. Anche il Direttore generale della Dg XXI negava alla ricorrente l'accesso alla prima categoria di documenti avvalendosi dell'eccezione relativa alla tutela dell'interesse pubblico, in quanto attività di ispezione, controllo e indagine, di quella relativa alla protezione dei singoli e della vita privata e di quella concernente la tutela dell'interesse dell'istituzione relativa alla segretezza delle sue deliberazioni, in conformità a quanto disposto dalla decisione 94/90.
La ricorrente, allora, formulava una domanda di riesame al Segretario generale della Commissione, rinnovando la richiesta di accesso ai documenti elencati in precedenza. Allo stesso tempo, unitamente ad altre due imprese tedesche, presentava un ricorso ex art. 173 del Trattato CE mirante all'annullamento della decisione della Commissione del 26 gennaio 1996. (4)
Il Segretario generale della Commissione respingeva la richiesta di conferma in quanto i documenti ai quali si chiedeva l'accesso riguardavano una decisione della Commissione, divenuta, nel frattempo, oggetto di un ricorso d'annullamento. Il Segretario generale affermava che "(…) senza pregiudizio per altre eccezioni che potrebbero giustificare il diniego dell'accesso ai documenti richiesti, trova applicazione l'eccezione relativa alla tutela dell'interesse pubblico (procedimenti giurisdizionali). Il codice di condotta non può obbligare la Commissione, nell'ambito di una causa in corso a trasmettere alla controparte documenti relativi alla controversia." (5)
Di conseguenza, nell'ambito della causa pendente, la ricorrente chiedeva che il Tribunale ordinasse la presentazione della documentazione in quanto misura di organizzazione del procedimento. Inoltre, proponeva un ricorso per annullamento delle decisioni con le quali la Commissione le aveva negato l'accesso ai documenti.
La questione giuridica e le posizioni delle parti
La ditta Interporc deduceva tre motivi a sostegno del suo ricorso: violazione del codice di condotta e della decisione 94/90; violazione dell'art.190 del Trattato CE (difetto di motivazione); violazione dei diritti della difesa.
Analizziamo gli argomenti delle parti per quanto riguarda i primi due motivi, congiuntamente considerati dal Tribunale di primo grado. Il terzo motivo, come si vedrà in seguito, non sarà esaminato dal Tribunale in quanto i giudici comunitari lo riterranno superfluo al fine della soluzione della controversia.
In via preliminare, la ricorrente rilevava che il codice di condotta e la decisione 94/90 erano giuridicamente vincolanti per la Commissione, in linea con quanto affermato dal Tribunale di primo grado sia nel caso the Guardian (6), riguardante la decisione equivalente adottata dal Consiglio (7), sia nel caso WWF (8). Secondo la ditta Interporc, dato che la Commissione ha il dovere di consentire al pubblico "il più ampio accesso possibile ai documenti" (9), tale istituzione non avrebbe potuto far valere le eccezioni previste in maniera generale. Essa avrebbe dovuto, innanzitutto, operare un bilanciamento degli interessi in gioco e, in seguito, "(…) dimostrare, per ogni documento, i 'motivi imperativi' per i quali le condizioni di applicazione dell'eccezione sono soddisfatti" (10). Negando l'accesso ai documenti richiesti semplicemente perché questi si riferivano ad una decisione oggetto di un ricorso per annullamento, secondo quanto affermato dalla ricorrente, si correrebbe il rischio che diverse decisioni della Commissione sfuggano al controllo giurisdizionale.
La ricorrente avanzava, altresì, un'ipotesi interpretativa dell'eccezione della tutela dell'interesse pubblico (procedimenti giurisdizionali), in conformità al punto 2.2 dell'allegato alla comunicazione della Commissione rivolta al Consiglio, al Parlamento e al Comitato economico e sociale del giugno 1993 sull'accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni (11). Tale allegato riportava una sintesi dello studio comparato delle politiche e delle legislazioni che regolavano l'accesso alle informazioni negli Stati membri e in alcuni Stati terzi, avviato dalla Commissione in seguito alla dichiarazione n.17 adottata nell'atto finale del Trattato di Maastricht, in merito al miglioramento dell'accesso del pubblico alle informazioni. (12)
La linea difensiva della Commissione si fondava, invece, su una diversa interpretazione dell'eccezione sulla tutela dell'interesse pubblico (procedimenti giurisdizionali). A parere della Commissione, affinché si potesse applicare tale principio derogatorio, è sufficiente "(…) che i documenti richiesti riguardino la controversia o si riferiscano al suo oggetto.(13)" Seguendo interpretazioni differenti, la Commissione avrebbe rischiato di vedere compromessi i suoi diritti di difesa. Per quanto riguarda l'argomento dedotto dalla ricorrente sulla natura prevalentemente penale dell'eccezione relativa ai procedimenti giurisdizionali, la Commissione si riferiva al codice di condotta allegato alla decisione 94/90 (in prosieguo: "il codice di condotta") (14), indicando la mancanza in esso dell'esplicita precisazione restrittiva di "segreto giudiziario". Tanto sarebbe bastato, ad avviso della Commissione, per affermare la maggiore ampiezza del campo di applicazione dell'eccezione in ambito comunitario rispetto agli ambiti dei rispettivi ordinamenti degli Stati membri.
Sulla violazione dell'art.190 del Trattato CE, le posizioni delle parti possono essere così sintetizzate. La ricorrente sosteneva il difetto di motivazione del provvedimento di diniego in quanto la Commissione non avrebbe analizzato la "particolarità" (15) del caso di specie né avrebbe precisato, per ciascun documento richiesto, i motivi per i quali l'eccezione avrebbe trovato applicazione. Dal canto suo, la Commissione affermava la completezza e chiarezza della motivazione della sua decisione, ritenendo "(…) di non essere tenuta a provare, per ogni documento, che la divulgazione potrebbe pregiudicare l'interesse pubblico." (16)
Il ragionamento del Tribunale di primo grado
Il ragionamento del Tribunale, analogo a quello seguito nel caso WWF, si articola in due parti: l'osservazione che la decisione 94/90, in assenza di una normativa generale adottata dal legislatore comunitario, è l'atto in grado di attribuire ai cittadini il diritto di accesso ai documenti della Commissione; l'accoglimento della tesi della ricorrente nella parte in cui sostiene che la Commissione aveva l'obbligo di esaminare, per ogni documento richiesto, se effettivamente esistesse o meno il pregiudizio di uno degli interessi tutelati nel quadro delle c. d. "eccezioni obbligatorie".
In primo luogo, il Tribunale dichiara che la decisione 94/90, anche se adottata in base all'art. 162 p. 2 del Trattato CE, che attribuisce alla Commissione la prerogativa di stabilire il proprio regolamento interno, produce effetti giuridici nei confronti dei terzi.
In secondo luogo, il Tribunale precisa la portata delle eccezioni contenute nel codice di condotta. A tale riguardo, i giudici ricordano che il diritto di accesso ai documenti della Commissione si configura quale principio generale; ne discende che le eccezioni a tale principio debbano essere interpretate e applicate in senso restrittivo, in modo tale da non vanificare l'effettivo conseguimento dell'obbiettivo della trasparenza.
Il Tribunale constata, in linea con quanto dichiarato nel caso WWF (17), l'esistenza di due categorie di eccezioni al principio dell'accesso alle informazioni, presenti nel codice di condotta.
La prima categoria, avente carattere vincolante, prevede che "(…) le istituzioni negano l'accesso a qualsiasi documento la cui divulgazione possa pregiudicare: la protezione dell'interesse pubblico (sicurezza pubblica, relazioni internazionali, stabilità monetaria, procedimenti giudiziari, controlli e indagini).(18)" Il dettato relativo alla seconda categoria prevede che "(…) le istituzioni possono inoltre negare l'accesso per assicurare la tutela dell'interesse dell'istituzione relativo alla segretezza delle sue deliberazioni. (19)" In analogia a quanto analiticamente chiarito nel caso WWF, dall'uso dei verbi "negano" e "possono" consegue che la Commissione, nel primo ordine di eccezioni, è obbligata a negare l'accesso ai documenti; nel secondo ordine di eccezioni, invece, la Commissione dispone di un potere discrezionale. Tale prerogativa deve essere esercitata contemperando gli interessi contrastanti, vale a dire, da un lato, l'interesse del cittadino ad ottenere l'accesso ai documenti e, dall'altro, l'interesse della Commissione a tutelare la segretezza delle sue deliberazioni.
Nella sentenza in esame, il Tribunale di prima istanza si sofferma sulla categoria delle eccezioni obbligatorie, nelle quali rientra l'eccezione fatta valere nella fattispecie, vale a dire l'eccezione della tutela dell'interesse pubblico (procedimenti giurisdizionali). I giudici rilevano che la Commissione ha l'obbligo di negare l'accesso ai documenti di cui trattasi "(…) la cui divulgazione possa pregiudicare la protezione dell'interesse pubblico" (20). Dall'uso del verbo potere al congiuntivo discende che la Commissione ha un obbligo procedurale di attento esame della natura dei documenti richiesti rispetto a quello generale di accesso ai documenti della Commissione.
In conformità a quanto previsto dall'art.190 del Trattato CE e secondo una giurisprudenza consolidata, dalla motivazione della decisione di diniego all'accesso ai documenti "(…) deve risultare in maniera chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'autorità comunitaria da cui promana l'atto controverso" (21). La motivazione deve contenere, "(…) quanto meno per ogni categoria di documenti" (22), i motivi specifici per cui la Commissione ritiene che si ricada in una delle eccezioni obbligatorie indicate nel codice di condotta.
Nel caso di specie, il Tribunale accoglie il ricorso della ricorrente dichiarando annullata la decisione di diniego dell'accesso ai documenti in quanto provvista di una motivazione insufficiente. I giudici comunitari statuiscono che "(…) la decisione impugnata contiene solo la conclusione secondo cui trova applicazione l'eccezione relativa alla protezione dell'interesse pubblico (procedimenti giurisdizionali). (23)" Essa risulta essere priva di un'adeguata spiegazione che consenta di verificare se i documenti ai quali si richiede l'accesso rientrano o meno nell'ambito dell'eccezione richiamata. Non è pertanto dimostrato il legame che i documenti richiesti dalla ricorrente presenterebbero con la causa T-50/96, ancora pendente. Giunto a tale conclusione, il Tribunale non reputa necessario un pronunciamento sul terzo motivo dedotto dalla ricorrente, vale a dire sul motivo di violazione dei diritti della difesa.
Nel secondo capo della domanda, inoltre, la ricorrente intendeva ottenere che il Tribunale di primo grado rivolgesse un'ingiunzione alla Commissione vietandole espressamente di far valere, in un procedimento amministrativo successivo, altri motivi per giustificare un nuovo diniego di accesso agli stessi documenti. Il Tribunale rileva l'irricevibilità di tale domanda in quanto, a suo avviso, il giudice comunitario, nell'ambito della competenza attribuitagli dall'art.173 del Trattato CE "(…) non è legittimato ad impartire ordini alle istituzioni comunitarie." (24)
Il regime delle eccezioni contenute nel codice di condotta e la violazione dell'art.190 del Trattato.
Il regime delle eccezioni previste dal codice di condotta e la violazione dell'art.190 del Trattato rappresentano gli elementi caratterizzanti la sentenza Interporc. Entrambi questi elementi forniscono interessanti spunti di riflessione sui quali è opportuno soffermarsi.
La sentenza Interporc si presenta quale naturale completamento e ulteriore definizione delle eccezioni in relazione al diritto di accesso ai documenti. In via incidentale, si può affermare che il rilascio di documenti rientra nella categoria più generale del rilascio attivo e passivo di informazioni, intendendosi per rilascio attivo l'obbligo imposto dalle alle autorità pubbliche di informare i cittadini sulle attività da esse condotte, mentre per rilascio passivo l'obbligo gravante sulle autorità pubbliche di mettere a disposizione le informazioni dietro richiesta di un cittadino.
Come si è ricordato, il codice di condotta, dopo aver stabilito il principio generale dell'accesso del pubblico, in maniera più ampia possibile, ai documenti del Consiglio e della Commissione, prevede due ordini di eccezioni: le "eccezioni obbligatorie" con il fine di tutelare gli interessi di terzi o del pubblico in generale, e le "eccezioni discrezionali" con il fine di preservare la segretezza delle deliberazioni interne delle due istituzioni, unicamente quale interesse di queste ultime. (25)
Per quanto concerne la seconda categoria, oggetto della sentenza the Guardian, l'istituzione si vede attribuire un potere discrezionale che deve essere esercitato ponendo effettivamente a confronto, da un lato, l'interesse del cittadino ad ottenere l'accesso ai documenti richiesti e, dall'altro, il suo interesse eventuale a tutelare la segretezza delle proprie deliberazioni. Quanto alla prima categoria, oggetto sia del caso WWF sia del caso in esame, l'istituzione è obbligata a negare l'accesso ai documenti rientranti in una o più eccezioni richiamate nella decisione di attuazione del codice di condotta, qualora venga addotta la prova dell'esistenza di tale circostanza. Inoltre, tale regime derogatorio deve essere impiegato in senso restrittivo, in modo da non pregiudicare il conseguimento dell'obbiettivo della trasparenza perseguito dal codice di condotta. Il ragionamento del Tribunale nella sentenza Interporc si propone di sottoporre ad un obbligo stringente di procedura e di motivazione l'istituzione che deve applicare l'eccezione relativa alla protezione dell'interesse pubblico (procedimenti giurisdizionali) prevista dal codice di condotta. Grava, quindi, sull'istituzione l'onere della prova.
A tal fine non risulta sufficiente la generica attestazione dell'esistenza di una relazione tra i documenti per i quali è richiesto l'accesso e la decisione della Commissione divenuta, nel frattempo, oggetto di un ricorso per annullamento, secondo la quale trova applicazione la prima categoria di eccezioni.
L'istituzione è tenuta ad indicare, attraverso una motivazione dettagliata e quanto meno per ogni categoria di documenti, le ragioni specifiche per le quali essa ritiene che questi ultimi siano direttamente collegati al procedimento in corso di giudizio. Tuttavia, l'istituzione, non è obbligata a fornire, in qualsiasi circostanza e per ciascun documento richiesto, i motivi imperativi che giustificano l'applicazione dell'eccezione. Tale procedura, infatti, potrebbe compromettere l'efficacia della funzione svolta dall'eccezione richiamata in quanto potrebbe "(…) sembrare impossibile indicare le ragioni che giustificano la segretezza di ogni documento, senza divulgare il contenuto di quest'ultimo e, pertanto, privare l'eccezione della sua finalità essenziale". (26)
Seguendo tale ragionamento, il Tribunale, dopo aver definito compiutamente il significato giuridico del codice di condotta e, in modo particolare, del regime delle eccezioni obbligatorie, ha annullato il provvedimento di diniego non per violazione dell'art.4 p. 1 della decisione 94/90 bensì per violazione dell'art.190 del Trattato. L'obbligo di motivazione riveste, infatti, un duplice scopo: da una parte, quello di consentire ai cittadini di conoscere le ragioni alla base del provvedimento al fine di poter difendere i propri diritti e, dall'altra, quello di permettere al giudice di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione (27). Esso diviene, quindi, il parametro di riferimento per l'annullamento dei provvedimenti di diniego al fine di garantire ai cittadini l'effettiva tutela del diritto di accesso.
Da quanto detto si evince che, in assenza di una regolamentazione generale a livello comunitario del diritto di accesso, tale principio di procedura amministrativa si qualifica quale diritto effettivamente garantito in sede di autoregolamentazione del Consiglio e della Commissione.
Tuttavia, lo studio comparato degli ordinamenti giuridici degli Stati membri in questo ambito mostra che la normativa in materia di accesso generale ai documenti amministrativi assume, nella maggior parte degli ordinamenti nazionali, un rango legislativo o, finanche, costituzionale. A riguardo di quest'ultima qualificazione, possono essere ricordati i casi della Germania, dell'Austria, dei Paesi Bassi, della Spagna, del Portogallo, della Finlandia nonché della Svezia, dove il diritto di accesso risale alla legge costituzionale sulla libertà di stampa del 1766. (28)
Nondimeno, la Corte di giustizia non è ancora giunta ad individuare nel diritto di accesso ai documenti un principio generale comune agli ordinamenti degli Stati membri all'interno dei principi generali di diritto amministrativo. Il Parlamento europeo, dal canto suo, nel caso Regno dei Paesi Bassi, si era spinto a sostenere, in appoggio all'interpretazione data dallo Stato olandese, che il principio della trasparenza dell'attività legislativa ed amministrativa e, di conseguenza, l'accesso ai documenti, "(…) presupposti essenziali della democrazia" (29), costituivano non soltanto un principio generale comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri ma, soprattutto, un diritto fondamentale della persona umana. (30)
Un'evoluzione giurisprudenziale orientata nell'individuazione di un principio generale di diritto, avrebbe la conseguenza, quanto mai auspicata, di colmare le lacune del legislatore comunitario e di determinare una progressiva armonizzazione delle differenti applicazioni di tale principio nei diritti nazionali alla luce della disciplina comunitaria di riferimento. (31)
Il diritto di accesso ai documenti: un lungo cammino verso il Trattato di Amsterdam.
Illustrato il ragionamento del Tribunale e i suoi principali elementi costitutivi, sembra utile delineare la storia della nascita e dello sviluppo della nozione di diritto di accesso ai documenti nell'ordinamento comunitario.
A partire dal 1977, il Consiglio d'Europa inseriva nell'elenco dei diritti e dei doveri inerenti il procedimento amministrativo e affermati nelle sue decisioni, oltre al diritto di essere uditi, al diritto di ricorrere ad un consulente legale, al dovere di motivare, al dovere di indicare il procedimento per ricorrere contro le decisioni amministrative, anche il diritto di accesso ai documenti.
In ambito strettamente comunitario, il concetto più ampio di trasparenza assumeva un certo rilievo all'inizio degli anni '80 con l'adozione, da parte del Parlamento europeo, di una serie di risoluzioni sulla trasparenza della legislazione comunitaria. (32) Nel 1990 il Consiglio dei ministri adottava la direttiva 90/313/CEE (33), entrata in vigore all'inizio del 1993, per garantire a qualsiasi persona fisica o giuridica all'interno della Comunità l'accesso alle informazioni in materia ambientale detenute da autorità pubbliche. Tale direttiva, oltre ad avere un'incidenza limitata al settore ambientale, si applicava alle informazioni in possesso dagli Stati membri e non a quelle in possesso delle istituzioni europee. Dal canto suo, la Commissione, sin dal 1982, aveva definito nella "Relazione annuale sulla concorrenza" alcune norme specifiche che prevedevano il diritto di accesso alle informazioni nel settore della concorrenza.
Nondimeno, il Trattato CE conteneva una serie di norme relative alla trasparenza amministrativa connesse a questo tema. Si pensi, per esempio, all'obbligo di pubblicare gli atti giuridici della Comunità (art.191, Trattato CE), all'obbligo di motivare detti atti (art.190, Trattato CE), all'obbligo della pubblicazione annuale di una relazione generale sulle attività della Comunità (art.18, Trattato sulla fusione degli esecutivi), alle norme che disciplinano l'obbligo di non divulgare informazione che per la loro natura siano protette dal segreto professionale (art.214, Trattato CE) e ad altre disposizioni del Trattato CE, tutte successivamente attuate mediante normative dettagliate.
Nel febbraio 1992, gli Stati membri adottavano una dichiarazione allegata all'atto finale del Trattato sull'Unione europea, nella quale si raccomandava alla Commissione di presentare al Consiglio, entro il 1993, una relazione sulle misure intese ad incrementare l'accesso del pubblico alle informazioni. (34) In occasione delle riunioni dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, tenuta a Birmingham nell'ottobre 1992, al termine di una discussione approfondita sulle modalità utili ad avvicinare la Commissione ai suoi cittadini, il Consiglio europeo affidava l'incarico ai ministri degli Affari esteri di proporre azioni concrete miranti a "(…) rendere trasparenti i lavori delle istituzioni comunitarie, inclusa la possibilità di prevedere alcune discussioni aperte del Consiglio" (35).
In occasione del Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992, si rinnovava l'invito rivolto alla Commissione a Birmingham di completare i suoi lavori sul miglioramento dell'accesso del pubblico alle informazioni di cui disponevano le istituzioni comunitarie. (36) Seguiva, nel maggio e nel giugno 1993, l'adozione da parte della Commissione di due comunicazioni, indirizzate al Consiglio, al Parlamento e al Comitato economico e sociale, (37) nonché l'invito da parte del Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993, rivolto alla Commissione e al Consiglio, a proseguire i loro lavori "(…) basandosi sul principio che i cittadini abbiano il massimo accesso possibile all'informazione" . (38) A Copenaghen veniva altresì definita una scadenza temporale, la fine del 1993, che le due istituzioni avrebbero dovuto rispettare.
In seguito ai provvedimenti fin qui presi in considerazione, la Commissione e il Consiglio formulavano e adottavano, nel dicembre 1993, un codice di condotta comune, inteso quale accordo di natura interistituzionale destinato a manifestare una convergenza di intenti sulla disciplina dell'accesso del pubblico ai documenti delle due istituzioni. Conseguentemente, il Consiglio, in data 20 dicembre 1993, (39) e la Commissione, in data 8 febbraio 1994, (40) in base alle rispettive disposizioni in materia di organizzazione interna, che legittimano la Commissione e il Consiglio a prendere provvedimenti adeguati a garantire il loro funzionamento interno nell'interesse di una buona amministrazione, adottavano le rispettive decisioni attuative del codice di condotta.
Nel giugno del 1997 con la firma del Trattato di Amsterdam, non ancora entrato in vigore in quanto sottoposto alla ratifica degli Stati membri, sono state previste delle modifiche in riferimento al principio di trasparenza e con particolare riguardo al diritto di accesso ai documenti.
In primo luogo, l'art. A del Trattato di Maastricht è modificato nel modo seguente: "Il presente Trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini." (41) In secondo luogo, il diritto di accesso ai documenti è affermato in un nuovo articolo, il 191 A del Trattato CE, il quale prevede che ogni cittadino dell'Unione e ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sua sede sociale sul territorio di uno Stato membro, ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Il diritto di accesso è sottoposto ai principi generali e alle limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati stabiliti dal Consiglio entro due anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, in base alla procedura di codecisione definita dal nuovo art. 189 B. Ciascuna istituzione definirà, all'interno del proprio regolamento, una specifica disciplina riguardo al diritto di accesso ai documenti.
Con tali disposizioni, il diritto di accesso viene inserito nella "carta costituzionale" dell'Unione ma esso non viene ancora definito quale principio generale del procedimento amministrativo, comune alle tradizioni giuridiche degli Stati membri.
Conclusioni
Il diritto di accesso ai documenti rappresenta un corollario, sebbene dotato di una sua autonomia concettuale, del più generale diritto alla trasparenza dell'informazione. (42) D'altro canto, l'apertura e la trasparenza della legislazione e dell'amministrazione comunitaria nei confronti dei cittadini sembrano quanto più fondamentali per il futuro del diritto comunitario tanto più si presti attenzione ai rimedi parziali adottati dall'Unione per colmare o almeno sensibilmente ridurre il c. d. deficit democratico. (43) In tale contesto, l'effettiva tutela del diritto all'informazione dei cittadini europei diviene necessario complemento al processo di democratizzazione dell'iter decisionale comunitario.
Come affermato si è nelle pagine precedenti, il diritto di accesso ai documenti, così come previsto dalle decisioni attuative del codice di condotta della Commissione e del Consiglio, non risulta essere un principio generale di diritto amministrativo. Esso appariva, fino alla firma del Trattato di Amsterdam, quale diritto attribuito ai cittadini nel quadro del potere di autoregolamentazione interna di cui sono provviste le due istituzioni. Le modifiche apportate dal nuovo trattato costituzionalizzano il diritto di accesso ai documenti. Sebbene tali emendamenti contengano importanti novità in tema di trasparenza, esse sembrano, tuttavia, non modificare sostanzialmente i termini del problema.
La sentenza Interporc, demolitoria del provvedimento di diniego emesso dalla Commissione, si inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza dei giudici comunitari, in prevalenza quelli del Tribunale di primo grado, a partire dal famoso caso the Guardian. Nel caso considerato, il Tribunale di prima istanza si è proposto di definire, in maniera più esaustiva e per una fattispecie differente rispetto alle sentenze precedenti, l'obbligo procedurale e di successiva motivazione gravante sull'istituzione al momento dell'analisi dei documenti oggetto della richiesta di accesso.
La Commissione così come il Consiglio, non potendosi discostare dalle modalità e dai limiti relativi all'accesso ai propri documenti che essi stessi hanno stabilito, devono conformarsi ad una procedura rigorosa di esame dei documenti nonché ad un necessario contemperamento degli interessi contrastanti. In altri termini, la sentenza Interporc tende a rafforzare il diritto di accesso garantendo ad esso un'effettiva tutela.
Tuttavia, tale diritto, oltre a non rappresentare, fino all'attuale evoluzione giurisprudenziale, un principio generale di diritto amministrativo, possiede lo svantaggio di riferirsi soltanto alla Commissione e al Consiglio. Le altre istituzioni, gli altri organi, comitati e agenzie sembrano del tutto esclusi da questo processo, anche in riferimento da quanto previsto dall'art.190 A del Trattato di Amsterdam che prevede l'unica aggiunta del Parlamento europeo. (44)
Basti pensare, ad esempio, al Consiglio direttivo della Banca centrale europea, organo decisionale del Sistema europeo delle banche centrali preposto alla gestione della politica monetaria dell'area-Euro. Le sue riunioni sono riservate e non sussistono obblighi statutari di pubblicarne i verbali. Tale considerazione viene ad intrecciarsi con il rapporto problematico tra indipendenza e sindacabilità degli atti della Bce. Appare controverso se sia sufficiente la previsione da parte del TUE degli istituti del controllo-conoscenza e del controllo giurisdizionale della Corte di giustizia al fine di rendere sindacabile (nella terminologia inglese "accountable") la Bce. (45) Il carattere democratico di questa "nuova istituzione" e il consenso che essa saprà conquistarsi dalla constituency dei cittadini-elettori così come da quella dei mercati (46), sembra legato all'efficacia del perseguimento del fine supremo della stabilità dei prezzi affidatogli dal Trattato.
Il diritto di accedere alle informazioni, quindi, nel quadro del più ampio principio della trasparenza, costituisce un elemento di vitale importanza per il buon funzionamento dell'Unione in quanto mira ad estendere il principio della democrazia all'interno delle procedure amministrative. Esso riguarda le relazioni fra l'amministrazione comunitaria e i cittadini dei quali questa è al servizio tanto che il Parlamento europeo si è spinto a configurarlo quale facente parte della c. d. terza generazione dei diritti umani. (47) La costituzionalizzazione del diritto di accesso appare, dunque, quale il raggiungimento di un obbiettivo importante ma intermedio, l'inizio più che la fine di un lungo cammino.
(1) La Comunità procede, annualmente, all'apertura di un contingente "Hilton" di importazione di carne bovina dall'Argentina in franchigia da prelievi. Al fine di ottenere questa franchigia è necessario presentare un certificato di autenticità. Venuta a conoscenza di falsificazioni di tali certificati, la Commissione, in seguito alla conclusione di proprie indagini al riguardo, ha proceduto tramite le autorità doganali degli Stati membri al recupero dei dazi all'importazione.
(2) L'elenco dettagliato dei documenti è il seguente: a) le dichiarazioni degli Stati membri relative ai quantitativi di carne bovina "Hilton" importati dall'Argentina tra il 1985 e il 1992; b) le dichiarazioni delle autorità argentine sui quantitativi di carne bovina "Hilton" che sono stati esportati verso la Comunità nel corso dello stesso periodo; c) le rilevazioni interne effettuate dalla Commissione sulla base di queste dichiarazioni; d) i documenti relativi all'apertura del contingente "Hilton"; e) i documenti relativi alla designazione degli organismi responsabili per l'emissione dei certificati di autenticità; f) i documenti relativi alla convenzione conclusa tra la Comunità e l'Argentina relativa a una riduzione del contingente in seguito alla scoperta delle falsificazioni; g) le eventuali relazioni sulle indagini relative al controllo da parte della Commissione, nel 1991 e nel 1992, del contingente "Hilton"; h) i documenti che si riferiscono alle indagini relative ad eventuali irregolarità all'atto delle importazioni effettuate tra il 1985 e il 1988; i) i pareri della Dg VI e della Dg XXI per quanto riguarda le decisioni adottate in altre cause simili; l) i verbali delle riunioni del gruppo dei periti degli Stati membri che si sono svolte il 2 e il 4 dicembre 1995.
(3) Decisione della Commissione dell'8 febbraio 1994, 94/90/CECA, CE, Euratom, in GU L 46, pp. 58 ss.
(4) Causa T-50/96, Primex et al. v. Commissione delle Comunità europee, sentenza del Tribunale di primo grado del 17 settembre 1998, in corso di pubblicazione.
(5) § 18 della sentenza.
(6) Causa T-194/94, Carvel and Guardian Newspaper Ltd. v. Consiglio delle Comunità europee, sentenza del Tribunale di primo grado del 19 ottobre 1995, in Raccolta, II, pp. 2765 ss. La sentenza è commentata da P. Twomey, in Comm. Mark. Law Rev., 33, 1996, pp. 831 ss.; da E. Chiti, Il diritto di accesso nel caso The Guardian, in questa Rivista, 1996, pp. 369 ss. e da A. Sandulli, L'accesso ai documenti nell'ordinamento comunitario, in Gior. Dir. Amm., 1996, pp. 448 s.
(7) Decisione del Consiglio del 20 dicembre 1993, 93/731/CE, in GU L 340, p. 43.
(8) Causa T-105/95, WWF UK (World Wide Fund for Nature) v. Commissione delle Comunità europee, sentenza del Tribunale di primo grado del 5 marzo 1997, in Raccolta, II, pp. 313 ss. La sentenza è commentata da E. Chiti, in Comm. Mark. Law Rev., 35, 1998, pp. 189 ss.
(9) § 29 della sentenza.
(10) § 30 della sentenza.
(11) Comunicazione della Commissione dell'8 giugno 1993, in GU C 156, p. 5.
(12) Secondo tale dichiarazione: "La Conferenza ritiene che la trasparenza del processo decisionale rafforzi il carattere democratico delle istituzioni, nonché la fiducia del pubblico nei confronti dell'amministrazione. La Conferenza raccomanda pertanto che la Commissione presenti al Consiglio, entro il 1993, una relazione su misure intese a rendere più accessibili al pubblico le informazioni di cui dispongono le istituzioni."
(13) § 36 della sentenza.
(14) Codice di condotta sull'accesso del pubblico ai documenti della Commissione allegato alla decisione 94/90 dell'8 febbraio 1994, in GU L 1994, 46, pp. 60 ss.
(15) § 42 della sentenza.
(16) § 45 della sentenza.
(17) §§ 58-60 della causa T-105/95, cit.
(18) Codice di condotta, cit., p. 61. Il corsivo è nostro.
(19) Ibidem. Il corsivo è nostro.
(20) § 51 della sentenza.
(21) § 53 della sentenza.
(22) § 54 della sentenza.
(23) § 55 della sentenza.
(24) § 61 della sentenza.
(25) Cfr. §§ 63-64 del caso the Guardian e §§ 58-60 del caso WWF, cit.
(26) Cfr. § 65 del caso WWF, cit.
(27) Cfr. § 15 della causa C-350/88, Delacre et al. v. Commissione delle Comunità europee, sentenza della Corte di giustizia del 14 febbraio 1990, in Raccolta, I, p. 395; § 32 della causa T-85/94, Branco v. Commissione delle Comunità europee, sentenza del Tribunale di primo grado del 12 gennaio 1995, in Raccolta, II, p. 45 e § 66 del caso WWF, cit.
(28) Cfr. lo studio comparato, realizzato dalla Commissione, sull'accesso del pubblico alle informazioni, allegato alla comunicazione della Commissione dell'8 giugno 1993, cit., pp. 6 ss. Inoltre, per una rassegna dettagliata sulla disciplina normativa sull'accesso all'interno degli Stati membri dell'Unione, si veda: A. Sandulli, op. cit., p. 448.
(29) § 18 del caso C-58/94, Regno dei Paesi Bassi v. Consiglio dell'Unione europea, sentenza della Corte di giustizia del 30 aprile 1996, in Raccolta, I, 2169 ss. La sentenza della Corte è commentata da C. Franchini, Il diritto di accesso tra l'ordinamento comunitario e quello nazionale, in Gior. Dir. Amm., 1996, pp. 825 ss. e da L. Limberti, La natura giuridica del diritto di accesso resta "sospesa" tra principio democratico e poteri di autoorganizzazione delle istituzioni comunitarie, in questa Rivista, 1996, pp. 1230 ss.
(30) A tale proposito, si veda l'intervento del governo olandese e le opinioni espresse dall'Avvocato generale Tesauro all'interno del caso C-58/94, cit.
(31) Per un differente approccio metodologico rispetto a tale conclusione, si veda: G. della Cananea, I procedimenti amministrativi, in M. P. Chiti e G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo comunitario, Milano, 1997, pp. ?? ss.
(32) Si fa riferimento a tre risoluzioni del 1984, del 1988 e del 1994, consultabili, rispettivamente, in GU C 1984, 172/176; GU C 1988, 49/174 e GU C 1994, 205/514.
(33) GU L 1990, 158, pp. 60 ss.
(34) Vedi nota 12.
(35) La dichiarazione di Birmingham, intitolata "Una Comunità vicina ai suoi cittadini", è raccolta in Boll. CE 10-1992, p. 9.
(36) Boll. CE 12-1992, p. 7.
(37) La Comunicazione 93/C, relativa all'accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni, e la Comunicazione 166/C sulla trasparenza nella Comunità, sono raccolte, rispettivamente, in GU C 156 pp. 5 ss. e GU C 166, pp. 4 ss.
(38) Boll. CE 6-1993, p. 16.
(39) Vedi nota 7.
(40) Vedi nota 3.
(41) Il corsivo è nostro.
(42) Cfr. E. Chiti, Il diritto di accesso nel caso the Guardian, op. cit., p. 376.
(43) Sulle lacune del processo di integrazione e, in particolare, sul problema della partecipazione democratica, si vedano, fra i numerosi contributi: B. Nascimbene, Il diritto comunitario nel futuro, in Il diritto dei nuovi mondi, Padova, 1994, pp. 325 ss. e C. Reich, Le Traité sur l'Union européenne et le Parlement européen, in Rev. du Marché et de l'Union eur., 1992, pp. 287 ss. Inoltre, per un'attenta analisi degli sviluppi del processo di integrazione comunitaria, si veda: M. P. Chiti, La meta dell'integrazione europea: Stato, Unione internazionale o "monstro simile"?, in questa Rivista, 1996, pp. 592 ss.
(44) A tale situazione fa eccezione l'adozione di un regolamento per l'accesso del pubblico ai documenti da parte del Comitato direttivo della Banca europea per gli investimenti, il 26 marzo 1997, e consultabile in GU L 243 del 9 agosto 1997.
(45) Sul problema della sindacabilità della Bce nonché per alcuni riferimenti bibliografici sul rapporto tra "politicità" e "neutralità" delle banche centrali nazionali, si veda: G. della Cananea, Indirizzo e controllo della finanza pubblica.
Bologna, 1996, pp. 68 ss. In linea generale, per quanto riguarda il ruolo della Bce all'interno del processo di unificazione monetaria, si rinvia a: L. Bini Smaghi, L'Euro, Bologna, 1997; P. De Grauwe, Economia dell'integrazione monetaria, Bologna, 1996; P. C. Padoan, Dal mercato interno alla crisi dello Sme, Roma, 1996; F. Papadia e C. Santini, La Banca centrale europea, Bologna, 1998 e C. Secchi, Verso l'Euro, Venezia, 1998. Sui recenti sviluppi dell'attività della Bce si consiglia la consultazione del sito internet http://www.ecb.int.
(46) Per il significato di "constituency", dal punto di vista politico ed economico, si veda: T. Padoa-Schioppa, Il governo dell'economia, Bologna, 1997, pp. 7-10.
(47) Cfr. §§ 18-19 del caso Paesi Bassi, cit.
Dr. Cristiano MUSILLO (Funzionario Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri)