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Open Source: Nuove frontiere del software e problematiche legali

“Penso che un effetto collaterale del movimento open source sia stato di avere riesumato lo spirito originario di internet, regno di libertà e di valorizzazione dell’individuo e della diffusione della conoscenza”. Questa affermazione dell’Avvocato Giovanni Bonomo (da “Open source” su www.dirittodautore.it) offre lo spunto per alcune considerazioni giuridiche ma non solo, a proposito di un fenomeno particolarmente attuale. Tutto comincIò nel 1984, quando Richard Stallman, con la “Free Software Fundation”, propose la rivoluzionaria idea di rendere il codice per programmi per elaboratori “libero” nel senso che ogni utente doveva avere la possibilità di utilizzarlo e modificarlo - con la facoltà di veicolare le modificazioni - senza dover sopportare alcuna spesa. Tale proposta non rimase inascoltata, e nel 1997 un gruppo di persone realizzò il manifesto della “Open Source Definition” in cui sono analiticamente delineati i capisaldi di un sistema di software libero, fra cui sono senz’altro fondamentali la libertà di redistribuzione, la fruibilità – senza aggravi – del codice sorgente, la possibilità di modifica e creazione di opere derivate (poi distribuite con connotati di originalità), la salvaguardia del codice sorgente e la perpetuazione delle licenze (in tal modo gli utenti finali non devono accettare un nuovo accordo quando ricevono il software da soggetto diverso dall’autore). Premessa questa sintetica ma doverosa “ricostruzione” del fenomeno, il primo aspetto giuridico da considerare riguarda il rapporto tra la normativa italiana sul diritto d’autore e il software libero. Come sappiamo la legge sul diritto d’autore tutela esplicitamente il software come opera dell’ingegno essendo indubitabile lo sforzo creativo da cui trae origine. Due sono le prerogative riconosciute all’autore di opera originale e creativa: i diritti morali (paternità dell’opera) e quelli patrimoniali (lo sfruttamento economico dell’opera). Mentre i primi sono sostanzialmente indisponibili, la “monetizzazione” dell’ingegno si attua normalmente con la concessione in capo ad altri soggetti della facoltà di utilizzare l’opera medesima (si parla di licenze d’uso). Da quanto detto è chiaro che è l’autore il dominus della sua creazione nel senso che è l’unico e il solo a decidere “come” far circolare il proprio software fino al punto di poter scegliere “cosa” cedere in licenza a terzi (per es. se il solo programma eseguibile o accompagnato dai sorgenti). Quindi il problema del rapporto tra legge sul diritto d’autore e open source è in realtà meno spinoso di quanto si possa pensare laddove si rifletta che parlare di software libero altro non significa che riferirsi ad una particolare modalità di esercizio di uno dei diritti che la legge medesima accorda all’autore, ovvero la distribuzione della sua creazione: anche l’open source è compiutamente regolato e disciplinato dalla Legge n. 633 del 1941 proprio perché siamo innanzi ad una precisa scelta fatta a priori da chi ha realizzato un programma, su come porre il medesimo in circolazione. Se riteniamo applicabile la legge sul diritto d’autore anche al software libero allora, per effetto delle recenti modifiche introdotte dalla L. 248/00, dobbiamo ritenere operante il correlativo obbligo di apposizione del “bollino blu” attestante il pagamento della SIAE. La natura prevaricatoria di tale imposizione, se applicata al mondo open source, emerge chiaramente laddove si rifletta sulla ratio che la norma ha: il bollino SIAE ha infatti la funzione di identificare il supporto originale da quello contraffatto sul presupposto che l’autore normalmente tragga un vantaggio economico dalla cessione della copia; conseguentemente chi commercializza software senza bollino compie un illecito. Nel  caso del software libero - tale in quanto l’utente ha il diritto di effettuare il numero di copie che preferisce – non ha molta logica distinguere tra “originale” e “riproduzione”. Proprio questa ultima considerazione ci introduce a quell’effetto collaterale di cui parla l’Autore citato in apertura e dunque a rilievi metagiuridici. Alla base dell’open source vi è la convinzione che la possibilità di lavorare liberamente su software (ed in particolare sul suo codice sorgente) abbia come effetto principale il miglioramento del programma medesimo poiché dalla cooperazione possono scaturire accorgimenti per la risoluzione di problemi, per l’eliminazione di errori e per l’adattamento a piattaforme hardware differenti. Quando si parla di open source o di software libero allora si intende un “processo di formazione decentrata della conoscenza”, cioè del risultato dello sforzo intellettivo di più programmatori che mettono in condivisione le loro certezze ma anche i propri dubbi. È indubitabile che da questa prospettiva sorga spontaneo l’accostamento al periodo primordiale di Internet, concepito proprio come rete aperta gestita da software il cui codice sorgente era a disposizione di tutti, quando cioè lo sviluppo di programmi, portato avanti da accademici e studenti, consisteva in un processo di cooperazione all’insegna della collaborazione e della trasparenza. Così argomentando non pare errato sostenere che questo diritto d’autore precostituito e calato dall’alto sulla realtà dell’open source vada all’open source  irrimediabilmente stretto: infatti emerge la tendenza a ridurre tutte le creazioni umane esistenti a mera proprietà così limitando non solo la creatività umana ma altresì inaridendo la libertà di espressione. Sarebbe al contrario auspicabile un diritto d’autore dell’open source, cioè un diritto d’autore aperto, fondato sulla condivisione della conoscenza; a chiederlo è la stessa evoluzione tecnologica che rende possibile il globale spostamento delle informazioni senza alcun costo, la riproduzione infinita e la distribuzione istantanea di ogni opera, con la conseguenza che il contenitore fino a poco tempo fa necessario per il trasporto oggi è superfluo. In conclusione l’istituto normativo che meglio si adatterebbe a contemperare la necessità di un supporto di regole alle caratteristiche del prodotto open source è probabilmente lo schema brevettuale. Basti in questa sede osservare come il software circoli sotto forma di programma, dal quale non è immediato ricavare indicazioni circa il codice sorgente: ne consegue la non immediata intelligibilità del programma da parte dell’utente e, più in generale, la non completa conoscenza dell’opera così fornita all’umanità. Un simile inconveniente sarebbe superato attraverso una tutela brevettuale, posto che questa richiede una descrizione chiara e completa dell’invenzione.  Un siffatto sistema, permettendo l’individuazione e la conoscibilità del codice sorgente, sarebbe sufficiente a proteggere l’inventore nei confronti di chi sviluppi autonomamente propri programmi facendo uso di tecniche da altri create.

                                                                                                                                                               Nicolò Ghibellini

 

20/12/2003

 

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