La fotocopia di una fattura ricevuta via telefax non è valida ai fini della esibizione? Breve commento alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. Tributaria, 25 febbraio 2009, n. 4502. A cura di Avv. Luigi Foglia
La fotocopia di una fattura ricevuta via telefax non è valida ai fini della esibizione?
Breve commento alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. Tributaria, 25 febbraio 2009, n. 4502
A cura di Avv. Luigi Foglia - Digital & Law Department - Studio Legale Lisi
La sentenza
Fatto
La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario recuperava a tassazione, tra l'altro, costi considerati privi di documentazione, perché certificati con copie di fatture ricevute via fax, invece che con gli atti originali.
La società Diatec Cles spa, destinataria dell'avviso di accertamento ha proposto ricorso vittoriosamente dinanzi alla competente commissione provinciale. La commissione tributaria regionale, invece, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle Entrate, ha ritenuto legittimo il recupero effettuato in relazione alle fotocopie dei fax, considerando che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, impone la conservazione degli originali degli atti ricevuti e che le fotocopie non offrono le stesse garanzie dei documenti originali.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso la società contribuente, sostenuto da due motivi. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Diritto
Il ricorso non può trovare accoglimento.
Con il primo motivo, la società ricorrente denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, e vizi di motivazione, sostiene che erroneamente la CTR ha ritenuto che la copia del fax non abbia la stessa efficacia probatoria dell'originale, posto che, comunque, la fattura trasmessa a mezzo fax non e' la fattura originale.
La tesi della ricorrente non e' condivisibile. E' ben vero che il documento che incorpora la fattura trasmessa a mezzo fax e' sostanzialmente una copia dell'originale. Ma e' altrettanto vero che l'originale del fax offre maggiori garanzie perche', non può esser frutto di un fotomontaggio, almeno da parte del ricevente. Peraltro, il legislatore, ove mai si fosse trattato di fax trasmesso per mezzo di un personal computer, ha imposto l'obbligo di conservare il supporto elettronico fino al momento della stampa, proprio per evitare il rischio di manipolazioni (a monte come a valle), insito in ogni riproduzione meccanografica non confrontabile con l'originale.
L'obbligo di conservare la documentazione originale, previsto dal D.P.R. n.600 del 1973, art. 22, e' norma speciale rispetto al regime ordinario della prova documentale dettato dal codice civile, che equipara la copia all'originale, se non ci sia espressa contestazione sulla conformità (art. 2712 c.c.). La diversità della disciplina trae origine dalla tendenziale indisponibilità del rapporto tributario e del suo regime probatorio. D'altra parte non risulta che il contribuente abbia giustificato in qualche modo il fatto di non aver conservato gli originali (allegando, ad esempio, la distruzione accidentale o per causa di forza maggiore degli originali), si che la violazione della legge, anche ammesso che le si volesse attribuire un carattere meramente formale, sarebbe comunque sospetta, in relazione al comportamento tenuto dal contribuente. In altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta. Specialmente se, come e' accaduto nella specie, non sono allegate valide ragioni che giustifichino la mancata esibizione degli originali.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 TUIR e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, sul rilievo che anche ammesso che la documentazione prodotta non fosse formalmente corretta, la deducibilità dei costi deve essere comunque riconosciuta in quanto non e' mai stata posta in dubbio la loro effettività, inerenza e competenza. Il ragionamento appare errato perché non tiene conto del fatto che proprio la irregolarità della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo (il cui onere probatorio grava sul contribuente), alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza.
Conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese del giudizio di legittimità, attesa la novità della questione.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2008.
Commento
La Corte, nella sentenza oggetto di queste brevi note, ha ammesso la piena trasmissibilità via FAX della fattura, ricordando che il fax che contiene la fattura incorpora il documento “fattura” e rappresenta uno degli originali della fattura stessa, ma ha anche sostenuto che le fatture vanno conservate in originale (3°comma del dpr. 600/1973[1]) e che le fotocopie (in questo caso la fotocopia di un fax) non offrono le stesse garanzie dei documenti originali.
La Corte è partita dall’osservazione che l’obbligo di conservare la documentazione originale, previsto dall’art. 22 DPR 600/1973, è norma speciale rispetto al regime ordinario della prova documentale dettato dal codice civile, che equipara la copia all’originale se non ci sia espressa contestazione sulla conformità (art. 2712 c.c.). La diversità della disciplina trae origine dalla tendenziale indisponibilità del rapporto tributario e del suo regime probatorio. Inoltre non risulta che il contribuente abbia dato valide spiegazioni che giustifichino la mancata presentazione degli originali sì che la violazione della legge, anche ammesso che le si volesse attribuire un carattere meramente formale, sarebbe comunque sospetta, in relazione al comportamento tenuto dal contribuente.
Questa conclusione ha suscitato grande clamore tra gli addetti ai lavori ed in effetti una tale interpretazione risulta, anche a parere dello scrivente, davvero lontana dall’evoluzione normativa e dalla prassi attuale in materia di fatturazione.
Partiamo dall’analizzare il documento Fattura, l’ art. 21 del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 descrive gli elementi essenziali che tale documento deve contenere e tra questi non è compresa la sottoscrizione; inoltre la fattura può essere tranquillamente formata mediante strumenti meccanici (ad es. stampata). A questo punto è naturale chiedersi che senso ha parlare di originale o di copia di fronte ad un documento non sottoscritto e non olografo!
Allo stato, quindi, l’originale della fattura (o la copia dell’originale della fattura) consegnata dall’emittente alla controparte (non sottoscritta e/o non olografa) non dà alcuna garanzia in più di una copia (o di una copia della copia) e questo è previsto ed accettato dalla normativa in vigore.
La Cassazione ha, quindi, ritenuto senza alcun valore un documento che nella realtà conteneva tutti gli elementi richiesti affinché potesse essere considerato originale; un documento, presumibilmente in tutto e per tutto identico all’originale (dalla sentenza non si evince come si sia distinta tale copia dal fax).
La Cassazione ha, inoltre, affermato che il fax “originale” sia in grado di conferire maggiori garanzie rispetto alla sua copia senza considerare che i moderni fax sono sempre più simili ad un computer, se non addirittura incorporati in questi ultimi (non sono quasi più utilizzati nelle attuali organizzazioni amministrative o aziendali i vecchi fax a carta termica o chimica).
In effetti, è prassi ormai consolidata quella di inviare fatture tramite posta elettronica o ricevere i fax direttamente sul computer e poi stamparli (spesso solo in caso di accertamento fiscale): entrambe queste pratiche, che sono state da tempo considerate ammissibili dalla prassi interpretativa dell’Agenzia delle Entrate, non danno certo maggiori garanzie di immodificabilità, anzi, probabilmente è ormai più facile modificare un file con un software di grafica che effettuare un fotomontaggio su di un fax!
Probabilmente, in un caso simile, sarebbe stato più utile effettuare una verifica sulla conformità tra la fattura in possesso dell’emettitore e quella presentata in sede di accertamento.
Solo in tal modo si sarebbe potuta evidenziare un’eventuale infrazione sostanziale, e non meramente formale, della normativa.
Non resta che sperare in un veloce ravvedimento della Suprema Corte, in caso contrario si rischierebbe di dare il via ad un giro di vite in tema di trasmissione e tenuta delle fatture che, credo, finirebbe per investire la maggior parte dei contribuenti.
Appare giusto riferire alla fine di questo breve commento che l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte appare di un rigore formale e interpretativo eccessivo rispetto alla realtà informatica che viviamo e non prende neppure in considerazione le attuali normative in materia di fatturazione elettronica e conservazione sostitutiva dei documenti, in vigore dal lontano 2004.
Un timido e molto incerto cenno alle problematiche della informatizzazione dei processi aziendali che viviamo da tempo e alla necessaria cristallizzazione e corretta conservazione dei documenti informatici si potrebbe evincere dalla frase: “peraltro, il legislatore, ove mai si fosse trattato di fax trasmesso per mezzo di un personal computer, ha imposto l'obbligo di conservare il supporto elettronico fino al momento della stampa”. Un po’ troppo poco e, forse, la materia meriterebbe un minimo di attenzione in più, soprattutto se siamo in presenza di norme consolidate e in vigore da tempo.
3° comma dell’art. 22 Dpr. 600/1973 ( “Fino allo stesso termine di cui al precedente comma – n.d.r. fino a che non siano stati definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta – devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e delle copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse”)