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Un nuovo decreto ingiuntivo basato su e-mail: i giudici vanno contra legem?

di Andrea Lisi (www.scint.it - www.studiodl.it)

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è stato appena pubblicato un nuovo decreto ingiuntivo basato sulla produzione di e-mail (decreto emesso dal Giudice di Pace di Pesaro in data 2/11/2004 e acquisibile alla pagina http://www.scint.it/news_new.php?id=499). Il decreto non opposto è l’ultimo di una lunga serie di provvedimenti giudiziali che hanno legittimato la presenza del documento informatico, quale l’e-mail, come prova documentale scritta ai fini dell’ottenimento di un decreto ingiuntivo (si ricordano, tra gli altri, il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Cuneo, il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bari, il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Mondovì e il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Lucca).

L’emissione di tali decreti ingiuntivi ha messo in crisi parte della dottrina che sosteneva, in sintesi, che solo il documento informatico con firma digitale (o “avanzata”) poteva garantire sicurezza e affidabilità al documento informatico e, quindi, aveva ragione di esistere giuridicamente.

Altra parte della dottrina, tra cui il sottoscritto, ha invece sostanzialmente legittimato tali provvedimenti ribadendo i principi tradizionali su cui si è sempre fondato il diritto civile e commerciale internazionale, secondo i quali anche a documenti “scritti” non sicuri e dotati di una qualche “paternità”, doveva comunque essere garantita un’esistenza giuridica, anche ai fini di rendere possibile una sopravvivenza a tutte le prassi generatesi nel commercio elettronico internazionale. Prassi basate su scambi di semplici e-mail e su “sottoscrizioni” point & click in aree riservate di siti web.

Oggi sappiamo che è all’esame delle Commissioni competenti di Camera e Senato uno schema di decreto legislativo recante il Codice delle Amministrazioni Digitali, già approvato in via preliminare dal Governo in data 11 novembre 2004. Alcuni hanno applaudito con soddisfazione questa ennesima “nuova” normativa pensata per le P.A., ma applicabile - in molti dei suoi principi - anche ai rapporti tra privati. Secondo questi interpreti, finalmente il nuovo Codice segnerebbe la fine della possibile parificazione dell’e-mail alla “forma scritta”, grazie alla “provvidenziale” presenza nel Codice di un articolo, secondo il quale solo il documento informatico con firma digitale avrà valore di “forma scritta” (art. 17 comma secondo).

Secondo altri, invece (e come già sottolineato in altri articoli) lo stesso Codice nel primo e nel secondo comma dell’art. 17, oltre a mettere in crisi molte delle contrattazioni che avvengono sul web, metterebbe in serio pericolo la stessa sopravvivenza del documento informatico, in quanto ivi con tranquillità si afferma che solo il documento informatico, conforme alle disposizioni del presente decreto ed alle regole tecniche di cui all'articolo 72, sarà valido e rilevante a tutti gli effetti di legge!

In primo luogo occorre riferire che (per fortuna) lo schema di decreto legislativo recante il Codice ancora non è in vigore e, dunque, molte delle sue incongruenze si spera siano risolte prima di far entrare nel nostro ordinamento una nuova legge per certi aspetti inutile e paradossale (non sarebbe comunque né la prima né l’ultima!); conseguentemente, sotto l’attuale vigenza del T.U.D.A. (DPR 445/2000 come recentemente modificato) valgono tutte le considerazioni già ampiamente fatte in merito al valore formale dell’e-mail e di qualsiasi altro documento informatico, la cui paternità sia attribuibile ad un soggetto giuridico (e, quindi, in qualche modo sia da ritenersi “firmato”, anche se non “sottoscritto”). Si rimanda pertanto per un approfondimento ai numerosi articoli già pubblicati sull’argomento.

In secondo luogo mi sia permesso di ricordare in estrema sintesi quale è il valore di un documento alla luce del diritto civile e dello stesso diritto commerciale internazionale (si sta parlando di principi fondamentali che derivano dalla tradizione e che nessuno si è mai sognato di mettere in discussione, se non alcune recenti normative pensate per le P.A. e che si vorrebbero imporre a tutti i rapporti privatistici):

1 – il "documento" è qualsiasi “cosa” destinata a rappresentare atti o fatti giuridicamente rilevanti;

2 - "forma scritta" è la "registrazione durevole" della volontà di un soggetto su un qualsiasi supporto (anche informatico);

3 - "scrittura privata" è una particolare tipologia di documento scritto dotato di sottoscrizione.

Quindi, l’e-mail secondo i principi generali del diritto, come il telefax, come il telegramma, come il telex, come qualsiasi documento “leggibile” e in qualche modo riferibile ad un soggetto, non è ovviamente una “scrittura privata”, ma è un documento “scritto”, a prescindere dalla sua sicurezza e dal suo valore probatorio e a prescindere, quindi, dalle stesse lunghe e dotte dissertazioni circa la presenza di una qualche forma di firma elettronica leggera nell’e-mail o nelle stesse aree di accesso riservate dei siti web dove si opera commercialmente (disquisizioni generate - come sempre - da una normativa pensata troppo per le P.A. e troppo poco tendendo in considerazione la tradizione giuridica e le esigenze del commercio elettornico internazionale)!

In ogni caso, a determinati documenti della Società dell’Informazione- i quali semplicemente soddisfino i requisiti di una “qualsiasi forma di comunicazione che conservi la documentazione delle informazioni contenute e sia riproducibile in forma tangibile” (definizione di “writing” tratta dai Principi Unidroit 2004 sui contratti del commercio internazionale) - andrebbe certamente garantita sopravvivenza giuridica e parificabilità alla forma scritta documentale. All’e-mail, come a “ogni altro strumento di comunicazione in grado di produrre un documento suscettibile di lettura dall’una e dall’altra parte” (definizione tratta dai Principles Of European Contract Law 2002) andrebbe ovviamente garantita la valenza formale “scritta”, se non vogliamo allontanarci dalla tradizione e dalle stesse necessità del commercio internazionale privato.

Non si può pertanto non condividere il bel contributo in materia del collega Andrea Monti (Valore probatorio: a volte la firma non è necessaria – acquisibile alla pagina http://www.interlex.it/docdigit/amonti76.htm) e soprattutto le sue conclusioni: “in sintesi, per concludere, il legislatore avrebbe potuto limitarsi a definire i requisiti che consentono di imputare oggettivamente un documento (informatico) al suo autore, lasciando in piedi il sistema tradizionale, ovvero introducendo nello schema di codice specifici riferimenti agli artt. 2027 e seguenti e alle altre norme che fanno riferimento alla “forma” del documento”. Oppure, come da tempo si cerca di riferire, il legislatore avrebbe ben potuto non interessarsi proprio del problema (lasciando alle sole P.A. l’applicabilità di una normativa di natura pubblicistica come quella contenuta nel Codice) e i giudici ben avrebbero potuto reinterpretare i “vecchi”, ma sempre sani, principi della tradizione anche per il documento informatico. Non sono i giudici pertanto ad aver improvvisato interpretazioni troppo libere e slegate dalla normativa in materia di firma digitale, ma è quest’ultima normativa, di natura prettamente pubblicistica, che si va sempre più allontanando dalla realtà concreta, sociale-commerciale e dall’evoluzione pratica e giurisprudenziale che tale realtà va comportando.

Proprio per questi motivi non si ritengono assolutamente “estemporanei” i recenti provvedimenti giudiziali basati sulla semplice produzione di e-mail che si sono commentati in questi ultimi mesi: trattasi di provvedimenti che hanno semplicemente recepito la tradizione sedimentatasi su vecchi e chiari principi, principi mai messi in discussione e che nel tempo sono stati reinterpretati dalla dottrina e dalla giurisprudenza accettando oggi la presenza in un processo di un telegramma, quindi di un telex, quindi di un telefax, quindi di una e-mail o di una pagina web!

Non si può non essere d’accordo anche con la collega Laura Turini, la quale recentemente in un interessante articolo (Il valore probatorio di un messaggio di posta elettronica su Ventiquattrore Avvocato n. 1 novembre 2004) ha sottolineato come la presenza di una e-mail in un’aula di un Tribunale si giustifica proprio nell’ottica di un’interpretazione giurisprudenziale evolutiva dell’art. 2705 del “vecchio” codice civile…alla luce di quanto brevemente riferito, c’è veramente bisogno oggi del Codice delle Nuove Amministrazioni Digitali per il commercio elettronico tra privati?

01/12/2004

 

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