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ICT: Il Codice dei diritti di proprietà industriale e Internet.

Giuseppe CASSANO (http://www.giuseppecassano.it/)

 

L’IMPATTO DEL CODICE DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ INDUSTRIALE SULLE NUOVE TECNOLOGIE E SUL REGIME GIURIDICO DI INTERNET.

 

 

Il Consiglio dei Ministri, nella riunione n. 186 del 23 dicembre 2004, ha approvato, su proposta del Ministro delle Attività Produttive (On. Marzano), il decreto legislativo recante il Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273.

Si tratta di una iniziativa legislativa tra le più rilevanti finora varate dal Governo nel settore delle codificazioni, sia per la materia trattata, sia per l’estensione degli interventi realizzati con tale  speciale codificazione. Il Codice provvede ad un razionale riassetto della disciplina della proprietà industriale, alla semplificazione normativa ed al coordinamento delle fonti nazionali e comunitarie, nonché all’ampliamento della tutela riservata alla proprietà industriale, alla ridefinizione delle competenze dell’Ufficio italiano brevetti e marchi ed, in particolare, alla tutela delle invenzioni realizzate dai ricercatori delle Università e degli enti pubblici di ricerca.

Il nuovo Codice, composto da 246 articoli, si occupa di brevetti per invenzione, modelli di utilità, disegni e modelli, nuove varietà vegetali, topografie dei prodotti a semiconduttori, delle informazioni aziendali riservate, dei marchi e degli altri segni distintivi, mentre contiene solo un accenno alla materia delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine, la cui complessità necessita di una normativa ad hoc, salvo, poi, precedere ad una unificazione normativa di tale codice e del secondo (emanando) corpo normativo al fine di assicurare uno strumento giuridico unitario e onnicomprensivo.

A voler enucleare i contenuti del Codice, si può affermare che esso è suddiviso in 8 parti che assumono la configurazione di libri a sé stanti, i cui contenuti sono stati già con lucidità individuati da uno dei primi commentatori del testo codicistico. Il primo libro risulta dedicato alle “disposizioni generali, nelle quali sono enunciati i principi fondamentali della normativa de qua, quali l’ambito di applicazione della normativa, gli obiettivi della stessa, la disciplina applicabile agli stranieri e le disposizioni in tema di priorità, comunione ed esaurimento dei diritti”. Il secondo appare, invece, incentrato sulle “norme sostanziali, relative a ciascun titolo di proprietà industriale, suddivise in apposite sezioni concernenti rispettivamente: marchi, indicazioni geografiche, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie di prodotti a semiconduttori, informazioni segrete e nuove varietà vegetali.

 Nell’ambito delle singole sezioni, ferme restando le naturali differenze sostanziali e le norme proprie, la disciplina è articolata prevedendo, preliminarmente, l’oggetto del diritto di proprietà industriale, i requisiti per ottenerlo e le eccezioni agli stessi, gli effetti della tutela, la sua durata, i diritti e gli oneri ad essa connessi, le limitazioni a tali diritti, le cause di decadenza e di nullità”.

Quanto al terzo, il medesimo appare ruotare sulla “disciplina per la tutela giurisdizionale, che reca, in maniera unitaria, le norme riprodotte nelle singole leggi speciali. Tra le novità si sottolinea il riferimento alle sezioni specializzate dei tribunali, previste dall’articolo 16 della legge 273/2002 ed istituite con il decreto legislativo 168/2003, l’introduzione del rito abbreviato del nuovo diritto societario, le disposizioni integrative della Commissione dei ricorsi, conseguenti all’applicazione della procedura di opposizione alla registrazione dei marchi di cui al decreto legislativo 447/99, la introduzione delle norme sulla pirateria contenute nella legge finanziaria 2004”.

Quanto al contenuto dei restanti libri è possibile affermare che essi appaiono dedicati rispettivamente a:

-       le condizioni per l’acquisizione ed il mantenimento in vita dei titoli e le relative procedure, tra cui quella relativa alla opposizione alla registrazione dei marchi sopra citata. In tale ambito si noterà che il ricorso alla delegificazione non ha avuto dimensioni rilevanti e ciò in quanto è stato giustamente salvaguardato il ruolo determinante delle procedure amministrative per l’esercizio ed il mantenimento in vita dei diritti brevettuali.

-       le procedure speciali, quali quelle relative all’espropriazione, al sequestro, alla segretazione militare, alle licenze obbligatorie e a quelle volontarie sui principi attivi farmaceutici, nonché alla Commissione dei Ricorsi;

-        l’ordinamento professionale, per il quale vengono riprese le disposizioni esistenti, contenute in provvedimenti di vario rango;

-       la gestione dei servizi da parte dell’ufficio italiano brevetti e marchi;

-       le disposizioni transitorie comprensive delle norme abrogate”.

Inevitabilmente, il Codice affronta tematiche specifiche delle nuove tecnologie, non sempre, per la verità, nella maniera migliore.

Prima fra tutte, si evidenzia il particolare riferimento ai domain names. Originariamente gli stessi risultavano esplicitamente disciplinati agli artt. 118-124. ma non può essere sottaciuto come la questione dell’individuazione della loro disciplina e prima ancora della loro qualificazione giuridica si presentasse, particolarmente, delicata in quanto la delega in base alla quale il Testo Unico è stato emanato prevedeva, esclusivamente, il "riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale", mentre  mancavano nel nostro ordinamento disposizioni espresse in materia di domain names. Dunque, non potevano dirsi consentiti, alla luce del dato testuale della legge delega, interventi che andassero oltre un adeguamento delle norme esistenti alle nuove problematiche poste dalle nuove tecnologie. Il rischio, ove si fosse superato il suddetto limite, sarebbe stato quello di un potenziale sindacato di legittimità costituzionale per il vizio  di eccesso di delega.

 Compiute tale doverosa premessa, il codice, affrontando il delicato argomento ha voluto  assicurare ai domain names una tutela non solo sostanziale ma anche formale, in quanto, per la prima volta, il nome a dominio viene equiparato, a livello legislativo, agli altri segni distintivi. L'articolo 22 (Unitarietà dei segni distintivi) prevede, infatti, che: 1. È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all'altrui marchio se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. 2. Il divieto di cui al comma 1 si estende all'adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

Una volta, quindi, accertato che il marchio registrato debba essere tutelato anche su Internet, può, quindi, presentarsi il caso in cui un soggetto registri presso la autorità competente un nome a dominio che corrisponda in tutto o in parte ad un marchio registrato il cui diritto di utilizzo è di esclusiva spettanza di un terzo. In questi casi, gli strumenti adottabili da parte del titolare del marchio registrato laddove ritenga che l’utilizzo, come nome a dominio altrui, del proprio marchio possa configurare una attività illecita, sono proprio quelli forniti dalla normativa in tema di marchi e dalla disciplina sulla concorrenza sleale.

La giurisprudenza italiana e straniera, chiamate a giudicare sui numerosi casi emersi, ha affermato più volte il principio della equiparazione di Internet al mondo tangibile, del quale il primo si configura quale naturale completamento, sancendo, nel contempo, che l’uso di un domain name sulla rete che riproduca un marchio registrato da un terzo, integri la fattispecie della contraffazione del marchio in quanto comporta l’immediato vantaggio, per l’utilizzatore, di ricollegare, nel giudizio del pubblico, la propria attività a quella del titolare del marchio. E fruire di questa associazione mentale, ingenerata nel pubblico, significa, inevitabilmente, sfruttare la notorietà del segno.. E, pertanto, già sulla scorta di tale principio sancito a livello giurisprudenziale, si era pervenuti a ritenere, prima della novella codicistica., che solamente il titolare di un marchio registrato avesse il diritto esclusivo di servirsene nella comunicazione di impresa e, quindi, anche in Internet o all’interno di un sito specifico, o, come domain name.

Ora, invece, è lo stesso art. 133 del Codice che prevede la possibilità per l'Autorità giudiziaria di disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria dell'uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, eventualmente, anche alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.

 

Per approfondimenti www.ipsoa.it/dirittodellinternet/statici/attualita.pdf



Per info sulla rivista http://ipshop.ipsoa.it/scheda.asp?ID=000040763

03/04/2005

 

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